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mercoledì 31 ottobre 2012

canto del prefazio della solennità di tutti i Santi

Ecco un video con il canto del prefazio gregoriano della solennità di tutti i Santi, vi allego anche lo spartito.






Buona festa dei Santi !


martedì 30 ottobre 2012

I 5 secoli della volta della Sistina


E' una delle mete più ambite al mondo, luogo che manifesta la grandezza del genio umano, un genio dal nome Michelangelo Buonarroti, è la Cappella Sistina, visitata ogni giorno da un gran numero di turisti.


Proprio domani, i meraviglioso affreschi della volta compiranno 500 anni, portati a termine dal geniale artista nel 1512. La rinnovata cappella fu inaugurata con la celebrazione dei I vespri della solennità di tutti i Santi; in ricordo di questo evento, papa Benedetto XVI, domani pomeriggio, alle ore 18.00, celebrerà i solenni I Vespri della solennità di tutti i Santi proprio nello scrigno d'arte.


La Cappella Sistina fu costruita fra il 1475 e il 1481, voluta da papa Sisto IV con le medesime dimensioni del tempio di Salomone che si trovano indicate nella Bibbia, e la volta fu affrescata in forma di cielo stellato.
Nel 1508 papa Giulio II chiamò il grande scultore (così egli si definiva e, in effetti, non aveva molta esperienza in ambito pittorico) Michelagelo Buonarroti, affidandogli la decorazione della sconfinata volta a botte. Il progetto iniziale prevedeva la raffigurazione dei dodici Apostoli che furono realizzato in breve tempo. Michelamngelo però, non soddisfatto dell'opera, distrusse gli affreschi e ricominciò l'opera meravigliosa che possiamo ammirare ancor oggi. 


Michelangelo lavorò quasi da solo, aveva solo alcuni garzoni che lo aiutavano con i materiali, a stendere la calce, a imprimere i disegni preparatori mediante polvere di carbone fatta passare attraverso al carta bucherellata. L'artista lavorò su una enorme impalcatura costruita dal Bramante, stava steso a  pancia in sù, con il braccio perennemente rivolto verso il soffitto; spesso il colore gli colava sugli occhi, tanto che perse n po' la vista. Curioso un suo appunto ove abbozza un autoritratto di sè, tutto curvo e sgorbio, accompagnato da un sonetto di sua composizione.

La meravigliosa opera fu portata a termine nel novembre del 1512 ed inaugurata con i solenni Vespri papali. Più tardi Michelangelo sarebbe stato richiamato alla corte pontificia per realizzare il Giudizio Universale.



L'opera, scurita dagli anni, dal fumo delle candele e dell'incenso e dalla miriade di visitatori, è stata restaurata a partire dal 1979 e terminata solo nel 1999; si è trattato del restauro più importante del XX secolo.



venerdì 26 ottobre 2012

SINODO DEI VESCOVI, MESSAGGIO AL POPOLO DI DIO


La XIII assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi si avvia ormai al termine, verrà ufficialmente chiusa da papa Benedetto XVI, Domenica prossima, con la solenne celebrazione eucaristica di chiusura. Oggi è stato presentato il messaggio del Sinodo a tutto il popolo di Dio, eccone il testo completo:

MESSAGGIO AL POPOLO DI DIO DELLA XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI

Nella Ventesima Congregazione Generale di oggi, venerdì 26 ottobre 2012, i Padri sinodali hanno approvato il Messaggio del Sinodo dei Vescovi al Popolo di Dio, a conclusione della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.

Pubblichiamo qui di seguito il testo integrale della versione in italiano:

Fratelli e sorelle, 
«grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo» (Rm 1,7). Vescovi di tutto il mondo, riuniti su invito del Vescovo di Roma il Papa Benedetto XVI per riflettere su “la nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, prima di tornare alle nostre Chiese particolari, vogliamo rivolgerci a tutti voi, per sostenere e orientare il servizio al Vangelo nei diversi contesti in cui ci troviamo oggi a dare testimonianza.

1. Come la samaritana al pozzo 
Ci lasciamo illuminare da una pagina del vangelo: l’incontro di Gesù con la donna samaritana (cf. Gv4,5-42). Non c’è uomo o donna che, nella sua vita, non si ritrovi, come la donna di Samaria, accanto a un pozzo con un’anfora vuota, nella speranza di trovare l’esaudimento del desiderio più profondo del cuore, quello che solo può dare significato pieno all’esistenza. Molti sono oggi i pozzi che si offrono alla sete dell’uomo, ma occorre discernere per evitare acque. Urge orientare bene la ricerca, per non cadere preda di delusioni, che possono essere rovinose. 
Come Gesù al pozzo di Sicar, anche la Chiesa sente di doversi sedere accanto agli uomini e alle donne di questo tempo, per rendere presente il Signore nella loro vita, così che possano incontrarlo, perché lui solo è l’acqua che dà la vita vera ed eterna. Solo Gesù è capace di leggere nel fondo del nostro cuore e di svelarci la nostra verità: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto», confessa la donna ai suoi concittadini. E questa parola di annuncio – cui si unisce la domanda che apre alla fede: «Che sia lui il Cristo?» – mostra come chi ha ricevuto la vita nuova dall’incontro con Gesù, a sua volta non può fare a meno di diventare annunciatore di verità e di speranza per gli altri. La peccatrice convertita diventa messaggera di salvezza e conduce a Gesù tutta la città. Dall’accoglienza della testimonianza la gente passerà all’esperienza personale dell’incontro: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

2. Una nuova evangelizzazione
Condurre gli uomini e le donne del nostro tempo a Gesù, all’incontro con lui, è un’urgenza che tocca tutte le regioni del mondo, di antica e di recente evangelizzazione. Ovunque infatti si sente il bisogno di ravvivare una fede che rischia di oscurarsi in contesti culturali che ne ostacolano il radicamento personale e la presenza sociale, la chiarezza dei contenuti e i frutti coerenti.
Non si tratta di cominciare tutto daccapo, ma – con l’animo apostolico di Paolo, il quale giunge a dire: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16) – di inserirsi nel lungo cammino di proclamazione del Vangelo che, dai primi secoli dell’era cristiana al presente, ha percorso la storia e ha edificato comunità di credenti in tutte le parti del mondo. Piccole o grandi che siano, esse sono il frutto della dedizione di missionari e di non pochi martiri, di generazioni di testimoni di Gesù cui va la nostra memoria riconoscente.
I mutati scenari sociali e culturali ci chiamano a qualcosa di nuovo: a vivere in modo rinnovato la nostra esperienza comunitaria di fede e l’annuncio, mediante un’evangelizzazione «nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nelle sue espressioni» (Giovanni Paolo II, Discorso alla XIX Assemblea della CELAM, Port-au-Prince 9 marzo 1983, n. 3), come disse Giovanni Paolo II, un’evangelizzazione che, ha ricordato Benedetto XVI, è rivolta «principalmente alle persone che, pur essendo battezzate si sono allontanate dalla Chiesa, e vivono senza fare riferimento alla prassi cristiana […], per favorire in queste persone un nuovo incontro con il Signore, che solo riempie di significato profondo e di pace la nostra esistenza; per favorire la riscoperta della fede, sorgente di grazia che porta gioia e speranza nella vita personale, familiare e sociale» (Benedetto XVI, Omelia alla Celebrazione eucaristica per la solenne inaugurazione della XIII Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Roma 7 ottobre 2012).

3. L’incontro personale con Gesù Cristo nella Chiesa
Prima di dire qualcosa circa le forme che deve assumere questa nuova evangelizzazione, sentiamo l’esigenza di dirvi, con profonda convinzione, che la fede si decide tutta nel rapporto che instauriamo con la persona di Gesù, che per primo ci viene incontro. L’opera della nuova evangelizzazione consiste nel riproporre al cuore e alla mente, non poche volte distratti e confusi, degli uomini e delle donne del nostro tempo, anzitutto a noi stessi, la bellezza e la novità perenne dell’incontro con Cristo. Vi invitiamo tutti a contemplare il volto del Signore Gesù Cristo, a entrare nel mistero della sua esistenza, donata per noi fino alla croce, riconfermata come dono dal Padre nella sua risurrezione dai morti e comunicata a noi mediante lo Spirito. Nella persona di Gesù, si svela il mistero dell’amore di Dio Padre per l’intera famiglia umana, che egli non ha voluto lasciare alla deriva della propria impossibile autonomia, ma ha ricongiunto a sé in un rinnovato patto d’amore. 
La Chiesa è lo spazio che Cristo offre nella storia per poterlo incontrare, perché egli le ha affidato la sua Parola, il Battesimo che ci fa figli di Dio, il suo Corpo e il suo Sangue, la grazia del perdono del peccato, soprattutto nel sacramento della Riconciliazione, l’esperienza di una comunione che è riflesso del mistero stesso della Santa Trinità, la forza dello Spirito che genera carità verso tutti.
Occorre dare forma a comunità accoglienti, in cui tutti gli emarginati trovino la loro casa, a concrete esperienze di comunione, che, con la forza ardente dell’amore – «Vedi come si amano!» (Tertulliano,Apologetico, 39, 7) –, attirino lo sguardo disincantato dell’umanità contemporanea. La bellezza della fede deve risplendere, in particolare, nelle azioni della sacra Liturgia, nell’Eucaristia domenicale anzitutto. Proprio nelle celebrazioni liturgiche la Chiesa svela infatti il suo volto di opera di Dio e rende visibile, nelle parole e nei gesti, il significato del Vangelo. 
Sta a noi oggi rendere concretamente accessibili esperienze di Chiesa, moltiplicare i pozzi a cui invitare gli uomini e le donne assetati e lì far loro incontrare Gesù, offrire oasi nei deserti della vita. Di questo sono responsabili le comunità cristiane e, in esse, ogni discepolo del Signore: a ciascuno è affidata una testimonianza insostituibile, perché il Vangelo possa incrociare l’esistenza di tutti; per questo ci è chiesta la santità della vita. 

4. Le occasioni dell’incontro con Gesù e l’ascolto delle Scritture 
Qualcuno chiederà come fare tutto questo. Non si tratta di inventare chissà quali nuove strategie, quasi che il Vangelo sia un prodotto da collocare sul mercato delle religioni, ma di riscoprire i modi in cui, nella vicenda di Gesù, le persone si sono accostate a lui e da lui sono state chiamate, per immettere quelle stesse modalità nelle condizioni del nostro tempo. 
Ricordiamo ad esempio come Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni siano stati interpellati da Gesù nel contesto del loro lavoro, come Zaccheo sia potuto passare dalla semplice curiosità al calore della condivisione della mensa con il Maestro, come il centurione romano ne abbia chiesto l’intervento in occasione della malattia di una persona cara, come il cieco nato lo abbia invocato quale liberatore dalla propria emarginazione, come Marta e Maria abbiano visto premiata dalla sua presenza l’ospitalità della casa e del cuore. Potremmo continuare ancora, ripercorrendo le pagine dei vangeli e trovando chissà quanti modi con cui la vita delle persone si è aperta nelle più diverse condizioni alla presenza di Cristo. E lo stesso potremmo fare con quanto le Scritture narrano delle esperienze missionarie degli apostoli nella prima Chiesa. 
La lettura frequente delle Sacre Scritture, illuminata dalla Tradizione della Chiesa, che ce le consegna e ne è autentica interprete, non solo è un passaggio obbligato per conoscere il contenuto del Vangelo, cioè la persona di Gesù nel contesto della storia della salvezza, ma aiuta anche a scoprire spazi di incontro con lui, modalità davvero evangeliche, radicate nelle dimensioni di fondo della vita dell’uomo: la famiglia, il lavoro, l’amicizia, le povertà e le prove della vita, ecc. 

5. Evangelizzare noi stessi e disporci alla conversione 
Guai però a pensare che la nuova evangelizzazione non ci riguardi in prima persona. In questi giorni più volte tra noi Vescovi si sono levate voci a ricordare che, per poter evangelizzare il mondo, la Chiesa deve anzitutto porsi in ascolto della Parola. L’invito ad evangelizzare si traduce in un appello alla conversione. 
Sentiamo sinceramente di dover convertire anzitutto noi stessi alla potenza di Cristo, che solo è capace di fare nuove tutte le cose, le nostre povere esistenze anzitutto. Con umiltà dobbiamo riconoscere che le povertà e le debolezze dei discepoli di Gesù, specialmente dei suoi ministri, pesano sulla credibilità della missione. Siamo certo consapevoli, noi Vescovi per primi, che non potremo mai essere all’altezza della chiamata da parte del Signore e della consegna del suo Vangelo per l’annuncio alle genti. Sappiamo di dover riconoscere umilmente la nostra vulnerabilità alle ferite della storia e non esitiamo a riconoscere i nostri peccati personali. Siamo però anche convinti che la forza dello Spirito del Signore può rinnovare la sua Chiesa e rendere splendente la sua veste, se ci lasceremo plasmare da lui. Lo mostrano le vite dei santi, la cui memoria e narrazione è strumento privilegiato della nuova evangelizzazione.
Se questo rinnovamento fosse affidato alle nostre forze, ci sarebbero seri motivi di dubitare, ma la conversione, come l’evangelizzazione, nella Chiesa non ha come primi attori noi poveri uomini, bensì lo Spirito stesso del Signore. Sta qui la nostra forza e la nostra certezza che il male non avrà mai l’ultima parola, né nella Chiesa né nella storia: «Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore», ha detto Gesù ai suoi discepoli (Gv 14,27). 
L’opera della nuova evangelizzazione riposa su questa serena certezza. Noi siamo fiduciosi nell’ispirazione e nella forza dello Spirito, che ci insegnerà ciò che dobbiamo dire e ciò che dobbiamo fare, anche nei frangenti più difficili. È nostro dovere, perciò, vincere la paura con la fede, l’avvilimento con la speranza, l’indifferenza con l’amore. 
6. Cogliere nel mondo di oggi nuove opportunità di evangelizzazione
Questo sereno coraggio sostiene anche il nostro sguardo sul mondo contemporaneo. Non ci sentiamo intimoriti dalle condizioni dei tempi che viviamo. Il nostro è un mondo colmo di contraddizioni e di sfide, ma resta creazione di Dio, ferita sì dal male, ma pur sempre il mondo che Dio ama, terreno suo, in cui può essere rinnovata la semina della Parola perché torni a fare frutto. 
Non c’è spazio per il pessimismo nelle menti e nei cuori di coloro che sanno che il loro Signore ha vinto la morte e che il suo Spirito opera con potenza nella storia. Con umiltà, ma anche con decisione – quella che viene dalla certezza che la verità alla fine vince –, ci accostiamo a questo mondo e vogliamo vedervi un invito di Dio a essere testimoni del suo Nome. La nostra Chiesa è viva e affronta con il coraggio della fede e la testimonianza di tanti suoi figli le sfide poste dalla storia.
Sappiamo che nel mondo dobbiamo affrontare una dura lotta contro «i Principati e le Potenze», «gli spiriti del male» (Ef 6,12). Non ci nascondiamo i problemi che tali sfide pongono, ma essi non ci impauriscono. Questo vale anzitutto per i fenomeni di globalizzazione, che devono essere per noi opportunità per una dilatazione della presenza del Vangelo. Così pure le migrazioni – pur con il peso delle sofferenze che comportano e a cui vogliamo essere sinceramente vicini con l’accoglienza propria dei fratelli – sono occasioni, come è accaduto nel passato, di diffusione della fede e di comunione tra le varietà delle sue forme. La secolarizzazione, ma anche la crisi dell’egemonia della politica e dello Stato, chiedono alla Chiesa di ripensare la propria presenza nella società, senza peraltro rinunciarvi. Le molte e sempre nuove forme di povertà aprono spazi inediti al servizio della carità: la proclamazione del Vangelo impegna la Chiesa a essere con i poveri e a farsi carico delle loro sofferenze, come Gesù. Anche nelle forme più aspre di ateismo e agnosticismo sentiamo di poter riconoscere, pur in modi contraddittori, non un vuoto, ma una nostalgia, un’attesa che attende una risposta adeguata. 
Di fronte agli interrogativi che le culture dominanti pongono alla fede e alla Chiesa rinnoviamo la nostra fiducia nel Signore, certi che anche in questi contesti il Vangelo è portatore di luce e capace di sanare ogni debolezza dell’uomo. Non siamo noi a condurre l’opera dell’evangelizzazion­e, ma Dio, come ci ha ricordato il Papa: «La prima parola, l’iniziativa vera, l’attività vera viene da Dio e solo inserendoci in questa iniziativa divina, solo implorando questa iniziativa divina, possiamo anche noi divenire – con Lui e in Lui – evangelizzatori» (Benedetto XVI, Meditazione alla prima Congregazione generale della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Roma 8 ottobre 2012).

7. Evangelizzazione, famiglia e vita consacrata
Fin dalla prima evangelizzazione la trasmissione della fede nel susseguirsi delle generazioni ha trovato un luogo naturale nella famiglia. In essa – con un ruolo tutto speciale rivestito dalle donne, ma con questo non vogliamo sminuire la figura paterna e la sua responsabilità – i segni della fede, la comunicazione delle prime verità, l’educazione alla preghiera, la testimonianza dei frutti dell’amore sono stati immessi nell’esistenza dei fanciulli e dei ragazzi, nel contesto della cura che ogni famiglia riserva per la crescita dei suoi piccoli. Pur nella diversità delle situazioni geografiche, culturali e sociali, tutti i Vescovi al Sinodo hanno riconfermato questo ruolo essenziale della famiglia nella trasmissione della fede. Non si può pensare una nuova evangelizzazione senza sentire una precisa responsabilità verso l’annuncio del Vangelo alle famiglie e senza dare loro sostegno nel compito educativo. 
Non ci nascondiamo il fatto che oggi la famiglia, che si costituisce nel matrimonio di un uomo e di una donna, che li rende «una sola carne» (Mt 19,6) aperta alla vita, è attraversata dappertutto da fattori di crisi, circondata da modelli di vita che la penalizzano, trascurata dalle politiche di quella società di cui è pure la cellula fondamentale, non sempre rispettata nei suoi ritmi e sostenuta nei suoi impegni dalle stesse comunità ecclesiali. Proprio questo però ci spinge a dire che dobbiamo avere una particolare cura per la famiglia e per la sua missione nella società e nella Chiesa, sviluppando percorsi di accompagnamento prima e dopo il matrimonio. Vogliamo anche esprimere la nostra gratitudine ai tanti sposi e alle tante famiglie cristiane che, con la loro testimonianza, mostrano al mondo una esperienza di comunione e di servizio che è seme di una società più fraterna e pacificata. 
Il nostro pensiero è andato anche alle situazioni familiari e di convivenza in cui non si rispecchia quell’immagine di unità e di amore per tutta la vita che il Signore ci ha consegnato. Ci sono coppie che convivono senza il legame sacramentale del matrimonio; si moltiplicano situazioni familiari irregolari costruite dopo il fallimento di precedenti matrimoni: vicende dolorose in cui soffre anche l’educazione alla fede dei figli. A tutti costoro vogliamo dire che l’amore del Signore non abbandona nessuno, che anche la Chiesa li ama ed è casa accogliente per tutti, che essi rimangono membra della Chiesa anche se non possono ricevere l’assoluzione sacramentale e l’Eucaristia. Le comunità cattoliche siano accoglienti verso quanti vivono in tali situazioni e sostengano cammini di conversione e di riconciliazione. 
La vita familiare è il primo luogo in cui il Vangelo si incontra con l’ordinarietà della vita e mostra la sua capacità di trasfigurare le condizioni fondamentali dell’esistenza nell’orizzonte dell’amore. Ma non meno importante per la testimonianza della Chiesa è mostrare come questa vita nel tempo ha un compimento che va oltre la storia degli uomini e approda alla comunione eterna con Dio. Alla donna samaritana Gesù non si presenta semplicemente come colui che dà la vita, ma come colui che dona la «vita eterna» (Gv 4,14). Il dono di Dio, che la fede rende presente, non è semplicemente la promessa di condizioni migliori in questo mondo, ma l’annuncio che il senso ultimo della nostra vita è oltre questo mondo, in quella comunione piena con Dio che attendiamo alla fine dei tempi.
Di questo orizzonte ultraterreno del senso dell’esistenza umana sono particolari testimoni nella Chiesa e nel mondo quanti il Signore ha chiamato alla vita consacrata, una vita che, proprio perché totalmente consacrata a lui, nell’esercizio di povertà, castità e obbedienza, è il segno di un mondo futuro che relativizza ogni bene di questo mondo. Dall’Assemblea del Sinodo dei Vescovi giunga a questi nostri fratelli e sorelle la gratitudine per la loro fedeltà alla chiamata del Signore e per il contributo che hanno dato e danno alla missione della Chiesa, l’esortazione alla speranza in situazioni non facili anche per loro in questi tempi di cambiamento, l’invito a confermarsi come testimoni e promotori di nuova evangelizzazione nei vari ambiti di vita in cui il carisma di ciascuno dei loro istituti li colloca.

8. La comunità ecclesiale e i molti operai dell’evangelizzazione
L’opera di evangelizzazione non è compito di qualcuno nella Chiesa, ma delle comunità ecclesiali in quanto tali, dove si ha accesso alla pienezza degli strumenti dell’incontro con Gesù: la Parola, i sacramenti, la comunione fraterna, il servizio della carità, la missione. 
In questa prospettiva emerge anzitutto il ruolo della parrocchia, come presenza della Chiesa sul territorio in cui gli uomini vivono, «fontana del villaggio», come amava chiamarla Giovanni XXIII, a cui tutti possono abbeverarsi trovandovi la freschezza del Vangelo. Il suo ruolo resta irrinunciabile, anche se le mutate condizioni ne possono chiedere sia l’articolazione in piccole comunità sia legami di collaborazione in contesti più ampi. Sentiamo ora di dover esortare le nostre parrocchie ad affiancare alla tradizionale cura pastorale del popolo di Dio le forme nuove di missione richieste dalla nuova evangelizzazione. Esse devono permeare anche le varie, importanti espressioni della pietà popolare.
Nella parrocchia continua ad essere decisivo il ministero del sacerdote, padre e pastore del suo popolo. I Vescovi di questa Assemblea sinodale esprimono a tutti i presbiteri gratitudine e vicinanza fraterna per il loro non facile compito e li invitano a più stretti legami nel presbiterio diocesano, a una vita spirituale sempre più intensa, a una formazione permanente che li renda idonei ad affrontare i cambiamenti. 
Accanto ai presbiteri va sostenuta la presenza dei diaconi, come pure l’azione pastorale dei catechisti e di tante altre figure ministeriali e di animazione nel campo dell’annuncio e della catechesi, della vita liturgica, del servizio caritativo, nonché le varie forme di partecipazione e corresponsabilità da parte dei fedeli, uomini e donne, per la cui dedizione nei molteplici servizi nelle nostre comunità non saremo mai abbastanza riconoscenti. Anche a tutti costoro chiediamo di porre la loro presenza e il loro servizio nella Chiesa nell’ottica della nuova evangelizzazione, curando la propria formazione umana e cristiana, la conoscenza della fede e la sensibilità ai fenomeni culturali odierni.
Guardando ai laici, una parola specifica va alle varie forme di antiche e nuove associazioni e insieme ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità, tutti espressione della ricchezza dei doni che lo Spirito fa alla Chiesa. Anche a queste forme di vita e di impegno nella Chiesa esprimiamo gratitudine, esortandoli alla fedeltà al proprio carisma e alla convinta comunione ecclesiale, in specie nel concreto contesto delle Chiese particolari. 
Testimoniare il Vangelo non è privilegio di alcuno. Riconosciamo con gioia la presenza di tanti uomini e donne che con la loro vita si fanno segno del Vangelo in mezzo al mondo. Li riconosciamo anche in tanti nostri fratelli e sorelle cristiani con i quali l’unità purtroppo non è ancora perfetta, ma che pure sono segnati dal Battesimo del Signore e ne sono annunciatori. In questi giorni è stata un’esperienza commovente per noi ascoltare le voci di tanti autorevoli responsabili di Chiese e Comunità ecclesiali che ci hanno testimoniato la loro sete di Cristo e la loro dedizione all’annuncio del Vangelo, anch’essi convinti che il mondo ha bisogno di una nuova evangelizzazione. Siamo grati al Signore per questa unità nell’esigenza della missione. 

9. Perché i giovani possano incontrare Cristo 
I giovani ci stanno a cuore in modo tutto particolare, perché loro, che sono parte rilevante del presente dell’umanità e della Chiesa, ne sono anche il futuro. Anche verso di loro lo sguardo dei Vescovi è tutt’altro che pessimista. Preoccupato sì, ma non pessimista. Preoccupato perché proprio su di loro vengono a confluire le spinte più aggressive dei tempi; non però pessimista, anzitutto perché, lo ribadiamo, l’amore di Cristo è ciò che muove nel profondo la storia, ma anche perché scorgiamo nei nostri giovani aspirazioni profonde di autenticità, di verità, di libertà, di generosità, per le quali siamo convinti che Cristo sia la risposta che appaga. 
Vogliamo sostenerli nella loro ricerca e incoraggiamo le nostre comunità a entrare senza riserve in una prospettiva di ascolto, di dialogo e di proposta coraggiosa verso la difficile condizione dei giovani. Per riscattare, e non mortificare, la potenza dei loro entusiasmi. E per sostenere in loro favore la giusta battaglia contro i luoghi comuni e le speculazioni interessate delle potenze mondane, interessate a dissiparne le energie e a consumarne gli slanci a proprio vantaggio, togliendo loro ogni grata memoria del passato e ogni serio progetto del futuro. 
La nuova evangelizzazione ha nel mondo dei giovani un campo impegnativo ma anche particolarmente promettente, come mostrano non poche esperienze, da quelle più aggreganti, come le Giornate Mondiali della Gioventù, a quelle più nascoste ma non meno coinvolgenti, come le varie esperienze di spiritualità, di servizio e di missionarietà. Ai giovani va riconosciuto un ruolo attivo nell’opera di evangelizzazione soprattutto verso il loro mondo.

10. Il Vangelo in dialogo con la cultura e l’esperienza umana e con le religioni 
La nuova evangelizzazione ha al suo centro Cristo e l’attenzione alla persona umana, per dare vita a un reale incontro con lui. Ma i suoi orizzonti sono larghi quanto il mondo e non si chiudono a nessuna esperienza dell’uomo. Questo significa che essa coltiva con particolare cura il dialogo con le culture, nella fiducia di poter trovare in ciascuna di esse i « semi del Verbo » di cui parlavano gli antichi Padri. In particolare la nuova evangelizzazione ha bisogno di una rinnovata alleanza tra fede e ragione, nella convinzione che la fede ha risorse sue proprie per accogliere ogni frutto di una sana ragione aperta alla trascendenza e ha la forza di sanare i limiti e le contraddizioni in cui la ragione può cadere. La fede non chiude lo sguardo neanche di fronte ai laceranti interrogativi che pone la presenza del male nella vita e nella storia degli uomini, attingendo luce di speranza dalla Pasqua di Cristo.
L'incontro tra la fede e la ragione nutre anche l’impegno delle comunità cristiane nel campo dell’educazione e della cultura. Un posto speciale lo occupano in questo le istituzioni formative e di ricerca: scuole e università. Ovunque si sviluppano le conoscenze dell’uomo e si dà un’azione educativa, la Chiesa è lieta di portare la propria esperienza e il proprio contributo per una formazione della persona nella sua integralità. In questo ambito va riservata particolare cura alla scuola cattolica e alle università cattoliche, in cui l’apertura alla trascendenza, propria di ogni sincero itinerario culturale ed educativo, deve completarsi in cammini di incontro con l’evento di Gesù Cristo e della sua Chiesa. La gratitudine dei Vescovi giunga a quanti, in condizioni a volte difficili, vi sono impegnati. 
L’evangelizzazione esige che si presti operosa attenzione al mondo delle comunicazioni sociali, strada su cui, soprattutto nei nuovi media, si incrociano tante vite, tanti interrogativi e tante attese. Luogo dove spesso si formano le coscienze e si scandiscono i tempi e i contenuti della vita vissuta. Un’opportunità nuova per raggiungere il cuore dell’uomo. 
Un particolare ambito dell’incontro tra fede e ragione si ha oggi nel dialogo con il sapere scientifico. Esso, per sé, è tutt’altro che lontano dalla fede, essendo una manifestazione di quel principio spirituale che Dio ha posto nelle sue creature e che permette loro di cogliere le strutture razionali che sono alla base della creazione. Quando scienze e tecniche non presumono di chiudere la concezione dell’uomo e del mondo in un arido materialismo, diventano un prezioso alleato per lo sviluppo della umanizzazione della vita. Anche a chi è impegnato su questo delicato fronte della conoscenza va il nostro grazie. 
Un grazie che vogliamo rivolgere anche a uomini e donne impegnati in un’altra espressione del genio umano, quella dell’arte nelle sue varie forme, dalle più antiche alle più recenti. Nelle loro opere, in quanto tendono a dare forma alla tensione dell’uomo verso la bellezza, noi riconosciamo un modo particolarmente significativo di espressione della spiritualità. Siamo grati quando con le loro creazioni di bellezza ci aiutano a rendere evidente la bellezza del volto di Dio e di quello delle sue creature. La via della bellezza è una strada particolarmente efficace nella nuova evangelizzazione. 
Oltre i vertici dell’arte è però tutta l’operosità dell’uomo ad attirare la nostra attenzione, come uno spazio in cui, mediante il lavoro, egli si fa cooperatore della creazione divina. Al mondo dell’economia e del lavoro vogliamo ricordare come dalla luce del Vangelo scaturiscano alcuni richiami: riscattare il lavoro dalle condizioni che ne fanno non poche volte un peso insopportabile e una prospettiva incerta, minacciata oggi spesso dalla disoccupazione, specie giovanile; porre la persona umana al centro dello sviluppo economico; pensare questo stesso sviluppo come un’occasione di crescita del genere umano nella giustizia e nell’unità. L’uomo nel lavoro con cui trasforma il mondo è chiamato anche a salvaguardare il volto che Dio ha voluto dare alla sua creazione, anche per responsabilità verso le generazioni a venire.
Il Vangelo illumina anche la condizione della sofferenza nella malattia, in cui i cristiani devono far sentire la vicinanza della Chiesa alle persone malate o disabili e la gratitudine verso quanti operano con professionalità e umanità per la loro cura.
Un ambito in cui la luce del Vangelo può e deve risplendere per illuminare i passi dell'umanità è quello della politica, alla quale si chiede un impegno di cura disinteressata e trasparente del bene comune, nel rispetto della piena dignità della persona umana, dal suo concepimento fino al suo termine naturale, della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, della libertà educativa; nella promozione della libertà religiosa; nella rimozione cause di ingiustizie, disuguaglianze, discriminazioni, razzismo, violenze, fame e guerre. Una limpida testimonianza è chiesta ai cristiani che, nell’esercizio della politica, vivono il precetto della carità.
Il dialogo della Chiesa ha un suo naturale interlocutore, infine, nelle religioni. Si evangelizza perché convinti della verità di Cristo, non contro qualcuno. Il Vangelo di Gesù è pace e gioia, e i suoi discepoli sono lieti di riconoscere quanto di vero e di buono lo spirito religioso degli uomini ha saputo scorgere nel mondo creato da Dio e ha espresso dando forma alle varie religioni. 
Il dialogo tra le religioni vuole essere un contributo alla pace, rifiuta ogni fondamentalismo e denuncia ogni violenza che si abbatte sui credenti, grave violazione dei diritti umani. Le Chiese di tutto il mondo sono vicine nella preghiera e nella fraternità ai fratelli sofferenti e chiedono a chi ha in mano le sorti dei popoli di salvaguardare il diritto di tutti alla libera scelta e alla libera professione e testimonianza della fede. 

11. Nell’Anno della fede, la memoria del Concilio Vaticano II e il riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica
Nel sentiero aperto dalla nuova evangelizzazione potremmo anche sentirci a volte come in un deserto, in mezzo a pericoli e privi di riferimenti. Il Santo Padre Benedetto XVI, nell’omelia della Messa di apertura dell’Anno della fede, ha parlato di una «“desertificazione” spirituale» che è avanzata in questi ultimi decenni, ma ci ha anche incoraggiato affermando che «è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere» (Omelia alla Celebrazione eucaristica per l’apertura dell’Anno della fede, Roma 11 ottobre 2012). Nel deserto, come la donna samaritana, si va in cerca di acqua e di un pozzo a cui attingerla: beato colui che vi incontra Cristo! 
Ringraziamo il Santo Padre per il dono dell’Anno della fede, prezioso ingresso nel percorso della nuova evangelizzazione. Lo ringraziamo anche per aver legato questo Anno alla memoria grata per i cinquant’anni dell’apertura del Concilio Vaticano II, il cui magistero fondamentale per il nostro tempo risplende nel Catechismo della Chiesa Cattolica, riproposto a vent’anni dalla pubblicazione come riferimento di fede sicuro. Sono anniversari importanti, che ci permettono di ribadire la nostra ferma adesione all’insegnamento del Concilio e il nostro convinto impegno a continuarne la piena attuazione.

12. Nella contemplazione del mistero e accanto ai poveri 
In quest’ottica vogliamo indicare a tutti i fedeli due espressioni della vita di fede che ci appaiono di particolare rilevanza per testimoniarla nella nuova evangelizzazione.
Il primo è costituito dal dono e dall’esperienza della contemplazione. Solo da uno sguardo adorante sul mistero di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, solo dalla profondità di un silenzio che si pone come grembo che accoglie l’unica Parola che salva, può scaturire una testimonianza credibile per il mondo. Solo questo silenzio orante può impedire che la parola della salvezza sia confusa nel mondo con i molti rumori che lo invadono. 
Torna nuovamente sulle nostre labbra la parola della gratitudine, ora rivolta a quanti, uomini e donne, dedicano la loro vita, nei monasteri e negli eremi, alla preghiera e alla contemplazione. Ma abbiamo bisogno che momenti contemplativi si intreccino anche con la vita ordinaria della gente. Luoghi dell’anima, ma anche del territorio, che richiamino a Dio; santuari interiori e templi di pietra, che siano incroci obbligati per il flusso di esperienze in cui rischiamo di confonderci. Spazi in cui tutti si possano sentire accolti, anche chi non sa bene ancora che cosa e chi cercare. 
L’altro simbolo di autenticità della nuova evangelizzazione ha il volto del povero. Mettersi accanto a chi è ferito dalla vita non è solo un esercizio di socialità, ma anzitutto un fatto spirituale. Perché nel volto del povero risplende il volto stesso di Cristo: «Tutto quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). 
Ai poveri va riconosciuto un posto privilegiato nella nostre comunità, un posto che non esclude nessuno, ma vuole essere un riflesso di come Gesù si è legato a loro. La presenza del povero nelle nostre comunità è misteriosamente potente: cambia le persone più di un discorso, insegna fedeltà, fa capire la fragilità della vita, domanda preghiera; insomma, porta a Cristo.
Il gesto della carità, a sua volta, esige di essere accompagnato dall’impegno per la giustizia, con un appello che riguarda tutti, poveri e ricchi. Di qui anche l’inserimento della dottrina sociale della Chiesa nei percorsi della nuova evangelizzazione e la cura della formazione dei cristiani che si impegnano a servire la convivenza umana nella vita sociale e nella politica. 

13. Una parola alle Chiese delle diverse regioni del mondo 
Lo sguardo dei Vescovi riuniti in Assemblea sinodale abbraccia tutte le comunità ecclesiali diffuse nel mondo. Uno sguardo che vuole essere unitario, perché unica è la chiamata all’incontro con Cristo, ma non dimentica le diversità. 
Una considerazione tutta particolare, colma di affetto fraterno e di gratitudine, i Vescovi riuniti nel Sinodo riservano a voi cristiani delle Chiese Orientali Cattoliche, quelle eredi della prima diffusione del Vangelo, esperienza custodita con amore e fedeltà, e quelle presenti nell’Est dell’Europa. Oggi il Vangelo si ripropone tra voi come nuova evangelizzazione tramite la vita liturgica, la catechesi, la preghiera familiare quotidiana, il digiuno, la solidarietà tra le famiglie, la partecipazione dei laici alla vita delle comunità e al dialogo con la società. In non pochi contesti le vostre Chiese sono in mezzo a prove e tribolazioni, in cui testimoniano la partecipazione alla croce di Cristo; alcuni fedeli sono costretti all’emigrazione e, mantenendo viva l’appartenenza alle proprie comunità di origine, possono dare il proprio contributo alla cura pastorale e all’opera di evangelizzazione nei paesi che li hanno accolti. Il Signore continui a benedire la vostra fedeltà e sul vostro futuro si staglino orizzonti di serena confessione e pratica della fede in una condizione di pace e di libertà religiosa.
Guardiamo a voi cristiani, uomini e donne, che vivete nei paesi dell’Africa e vi diciamo la nostra gratitudine per la testimonianza che offrite al Vangelo spesso in situazioni di vita umanamente difficili. Vi esortiamo a ridare slancio all’evangelizzazione ricevuta in tempi ancora recenti, a edificarvi come Chiesa « famiglia di Dio », a rafforzare l’identità della famiglia, a sostenere l’impegno dei sacerdoti e dei catechisti, specialmente nelle piccole comunità cristiane. Si afferma inoltre l’esigenza di sviluppare l’incontro del Vangelo con le antiche e le nuove culture. Un’attesa e un richiamo forte si rivolge al mondo della politica e ai governi dei diversi paesi dell’Africa, perché, nella collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà, siano promossi i diritti umani fondamentali e il continente sia liberato dalle violenze e dai conflitti che ancora lo tormentano. 
I Vescovi dell’Assemblea sinodale invitano voi cristiani dell’America del nord a rispondere con gioia alla chiamata alla nuova evangelizzazione, mentre guardano con riconoscenza a come nella loro storia ancora giovane le vostre comunità cristiane abbiano dato frutti generosi di fede, di carità e di missione. Occorre ora riconoscere che molte espressioni della cultura corrente nei paesi del vostro mondo sono oggi lontane dal Vangelo. Si impone un invito alla conversione, da cui nasce un impegno che non vi pone fuori dalle vostre culture, ma nel loro mezzo per offrire a tutti la luce della fede e la forza della vita. Mentre accogliete nelle vostre generose terre nuove popolazioni di immigrati e rifugiati, siate disposti anche ad aprire le porte delle vostre case alla fede. Fedeli agli impegni presi nell’Assemblea sinodale per l’America, siate solidali con l’America Latina nella permanente evangelizzazione del comune continente. 
Lo stesso sentimento di gratitudine l’Assemblea del Sinodo rivolge alle Chiese dell’America Latina e dei Caraibi. Colpisce in particolare come lungo i secoli si siano sviluppate nei vostri paesi forme di pietà popolare, ancora radicate nel cuore di tanti, di servizio della carità e di dialogo con le culture. Ora, di fronte alle molte sfide del presente, in primo luogo la povertà e la violenza, la Chiesa in America Latina e nei Caraibi è esortata a vivere in uno stato permanente di missione, annunciando il Vangelo con speranza e con gioia, formando comunità di veri discepoli missionari di Gesù Cristo, mostrando nell’impegno dei suoi figli come il Vangelo possa essere sorgente di una nuova società giusta e fraterna. Anche il pluralismo religioso interroga le vostre Chiese ed esige un rinnovato annuncio del Vangelo. 
Anche a voi cristiani dell’Asia sentiamo di offrire una parola di incoraggiamento e di esortazione. Piccola minoranza nel continente che raccoglie in sé quasi due terzi della popolazione mondiale, la vostra presenza è un seme fecondo, affidato alla potenza dello Spirito, che cresce nel dialogo con le diverse culture, con le antiche religioni, con i tanti poveri. Anche se spesso posta ai margini della società, in diversi luoghi anche perseguitata, la Chiesa dell’Asia, con la sua salda fede, è una presenza preziosa del Vangelo di Cristo che annuncia giustizia, vita e armonia. Cristiani di Asia, sentite la fraterna vicinanza dei cristiani degli altri paesi del mondo, i quali non possono dimenticare che sul vostro continente, nella Terra Santa, Gesù è nato, è vissuto, è morto ed è risorto. 
Una parola di riconoscenza e di speranza i Vescovi rivolgono alle Chiese del continente europeo, oggi in parte segnato da una forte secolarizzazione, a volte anche aggressiva, e in parte ancora ferito dai lunghi decenni di potere di ideologie nemiche di Dio e dell’uomo. La riconoscenza è verso un passato, ma anche un presente, in cui il Vangelo ha creato in Europa consapevolezze ed esperienze di fede singolari e decisive per l’evangelizzazione dell’intero mondo, spesso traboccanti di santità: ricchezza del pensiero teologico, varietà di espressioni carismatiche, forme le più varie di servizio della carità verso i poveri, profonde esperienze contemplative, creazione di una cultura umanistica che ha contribuito a dare volto alla dignità della persona e alla costruzione del bene comune. Le difficoltà del presente non vi abbattano, cari cristiani europei: siano invece percepite come una sfida da superare e un’occasione per un annuncio più gioioso e più vivo di Cristo e del suo Vangelo di vita. 
I Vescovi dell’Assemblea sinodale salutano infine i popoli dell’Oceania, che vivono sotto la protezione della Croce australe, e li ringraziano per la loro testimonianza al Vangelo di Gesù. La nostra preghiera per voi è perché, come la donna samaritana al pozzo, anche voi sentiate viva la sete di una vita nuova e possiate ascoltare la parola di Gesù che dice: «Se tu conoscessi il dono di Dio!» (Gv 4,10). Sentite ancora l’impegno a predicare il Vangelo e a far conoscere Gesù nel mondo di oggi. Vi esortiamo ad incontrarlo nella vostra vita quotidiana, ad ascoltare lui e a scoprire, mediante la preghiera e la meditazione, la grazia di poter dire: «Sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo» (Gv 4,42). 

14. La stella di Maria illumina il deserto
Giunti al termine di questa esperienza di comunione tra Vescovi di tutto il mondo e di collaborazione al ministero del Successore di Pietro, sentiamo risuonare per noi attuale il comando di Gesù ai suoi apostoli: «Andate e fate discepoli tutti i popoli […]. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19.20). La missione questa volta non si rivolge soltanto a una estensione geografica, ma va a cogliere le pieghe più nascoste del cuore dei nostri contemporanei, per riportarli all’incontro con Gesù, il vivente che si fa presente nelle nostre comunità.
Questa presenza colma di gioia i nostri cuori. Grati per i doni da lui ricevuti in questi giorni, innalziamo il canto della lode: «L’anima mia magnifica il Signore […] Grandi cose ha fatto per me il Signore» (Lc 1,46.49). Le parole di Maria sono anche le nostre: il Signore ha fatto davvero tlinegrandi cose lungo i secoli per la sua Chiesa nelle diverse parti del mondo e noi lo magnifichiamo, certi che egli non mancherà di guardare alla nostra povertà per spiegare la potenza del suo braccio anche nei nostri giorni e sostenerci nel cammino della nuova evangelizzazione. 
La figura di Maria ci orienta nel cammino. Questo cammino, come ci ha detto Benedetto XVI, potrà apparirci un itinerario nel deserto; sappiamo di doverlo percorrere portando con noi l’essenziale: la compagnia di Gesù, la verità della sua parola, il pane eucaristico che ci nutre, la fraternità della comunione ecclesiale, lo slancio della carità. È l'acqua del pozzo che fa fiorire il deserto. E, come nella notte del deserto le stelle si fanno più luminose, così nel cielo del nostro cammino risplende con vigore la luce di Maria, Stella della nuova evangelizzazione, a cui fiduciosi ci affidiamo.

mercoledì 24 ottobre 2012

Concistoro a sorpresa.



Il Santo Padre Benedetto XVI, al termine della consueta udienza del mercoledì, ha annunciato un nuovo concistoro in cui verranno creati 6 nuovi cardinali. Questa volta nessuna berretta è destinata a italiani, nè europei; ecco le parole del Pontefice:


...con grande gioia, annuncio che il prossimo 24 novembre terrò un Concistoro nel quale nominerò 6 nuovi Membri del Collegio Cardinalizio. I Cardinali hanno il compito di aiutare il Successore di Pietro nello svolgimento del suo Ministero di confermare i fratelli nella fede e di essere principio e fondamento dell’unità e della comunione della Chiesa. 

Ecco i nomi dei nuovi Porporati:
 1. Mons. JAMES MICHAEL HARVEY, Prefetto della Casa Pontificia, che ho in animo di nominare Arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le mura;

2. Sua Beatitudine BÉCHARA BOUTROS RAÏ, Patriarca di Antiochia dei Maroniti (Libano);

3. Sua Beatitudine BASELIOS CLEEMIS THOTTUNKAL, Arcivescovo Maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi (India);

4. Mons. JOHN OLORUNFEMI ONAIYEKAN, Arcivescovo di Abuja (Nigeria);

5. Mons. RUBÉN SALAZAR GÓMEZ, Arcivescovo di Bogotá (Colombia);

6. Mons. LUIS ANTONIO TAGLE, Arcivescovo di Manila (Filippine).



lunedì 22 ottobre 2012

Beato Giovanni Paolo II, i testi liturgici.


Ecco tutti i testi per celebrare l'odierna memoria del Beato papa Giovanni Paolo II, approvati dalla CONGREGAZIONE PER IL CULTO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI.

Per la celebrazione della Santa Messa:


Dal Comune dei pastori: per un papa.

Colletta
O Dio, ricco di misericordia,
che hai chiamato il beato Giovanni Paolo II, papa,
a guidare l’intera tua Chiesa,
concedi a noi, forti del suo insegnamento,
di aprire con fiducia i nostri cuori
alla grazia salvifica di Cristo, unico Redentore dell’uomo.
Egli è Dio e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Per l'Ufficio delle letture:



BEATO GIOVANNI PAOLO II, PAPA

Carlo Giuseppe Wojtyła nacque nel 1920 a Wadowice in Polonia. Ordinato sacerdote e compiuti gli studi di teologia a Roma, al ritorno in patria ricoprì vari incarichi pastorali e universitari. Nominato Vescovo ausiliare di Cracovia, di cui nel 1964 divenne Arcivescovo, prese parte al Concilio Ecumenico Vaticano II. Divenuto papa il 16 ottobre 1978 con il nome di Giovanni Paolo II, si contraddistinse per la straordinaria sollecitudine apostolica, in particolare per le famiglie, i giovani e i malati, che lo spinse a compiere innumerevoli visite pastorali in tutto il mondo; i frutti più significativi lasciati in eredità alla Chiesa, tra molti altri, sono il suo ricchissimo Magistero e la promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica e dei Codici di Diritto Canonico per la Chiesa latina e le Chiese Orientali. Morì piamente a Roma il 2 aprile 2005, alla vigilia della II domenica di Pasqua o della divina misericordia.
Dal Comune dei pastori: per un papa.

Ufficio delle letture
Seconda lettura

Dall’Omelia per l’inizio del pontificato del beato Giovanni Paolo II, papa.

(22 ottobre 1978: A.A.S. 70 [1978], pp. 945-947)

Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo!

Pietro è venuto a Roma! Cosa lo ha guidato e condotto a questa Urbe, cuore dell’Impero Romano, se non l’obbedienza all’ispirazione ricevuta dal Signore? Forse questo pescatore di Galilea non avrebbe voluto venire fin qui. Forse avrebbe preferito restare là, sulle rive del lago di Genesareth, con la sua barca, con le sue reti. Ma, guidato dal Signore, obbediente alla sua ispirazione, è giunto qui!
Secondo un’antica tradizione, durante la persecuzione di Nerone, Pietro voleva abbandonare Roma. Ma il Signore è intervenuto: gli è andato incontro. Pietro si rivolse a lui chiedendo: «Quo vadis, Domine?» (Dove vai, Signore?). E il Signore gli rispose subito: «Vado a Roma per essere crocifisso per la seconda volta». Pietro tornò a Roma ed è rimasto qui fino alla sua crocifissione.
Il nostro tempo ci invita, ci spinge, ci obbliga a guardare il Signore e ad immergerci in una umile e devota meditazione del mistero della suprema potestà dello stesso Cristo.
Colui che è nato dalla Vergine Maria, il Figlio del falegname – come si riteneva –, il Figlio del Dio vivente, come ha confessato Pietro, è venuto per fare di tutti noi «un regno di sacerdoti».
Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato il mistero di questa potestà e il fatto che la missione di Cristo – Sacerdote, Profeta-Maestro, Re – continua nella Chiesa. Tutti, tutto il Popolo di Dio è partecipe di questa triplice missione. E forse in passato si deponeva sul capo del Papa il triregno, quella triplice corona, per esprimere, attraverso tale simbolo, che tutto l’ordine gerarchico della Chiesa di Cristo, tutta la sua «sacra potestà» in essa esercitata non è altro che il servizio, servizio che ha per scopo una sola cosa: che tutto il Popolo di Dio sia partecipe di questa triplice missione di Cristo e rimanga sempre sotto la potestà del Signore, la quale trae le sue origini non dalle potenze di questo mondo, ma dal Padre celeste e dal mistero della Croce e della Risurrezione.
La potestà assoluta e pure dolce e soave del Signore risponde a tutto il profondo dell’uomo, alle sue più elevate aspirazioni di intelletto, di volontà, di cuore. Essa non parla con un linguaggio di forza, ma si esprime nella carità e nella verità.
Il nuovo Successore di Pietro nella Sede di Roma eleva oggi una fervente, umile, fiduciosa preghiera: «O Cristo! Fa’ che io possa diventare ed essere servitore della tua unica potestà! Servitore della tua dolce potestà! Servitore della tua potestà che non conosce il tramonto! Fa’ che io possa essere un servo! Anzi, servo dei tuoi servi».
Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà!
Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera!
Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa «cosa è dentro l’uomo». Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna.

Responsorio

R/. Non abbiate paura: il Redentore dell’uomo ha rivelato il potere della croce e ha dato per noi la vita! * Aprite, spalancate le porte a Cristo.
V/. Siamo chiamati nella Chiesa a partecipare alla sua potestà.
R/. Aprite, spalancate le porte a Cristo.
Orazione
O Dio, ricco di misericordia, che hai chiamato il beato Giovanni Paolo II, papa, a guidare l’intera tua Chiesa, concedi a noi, forti del suo insegnamento, di aprire con fiducia i nostri cuori alla grazia salvifica di Cristo, unico Redentore dell’uomo. Egli è Dio.

In latino:


BEATI IOANNIS PAULI II, PAPAE

Carolus Iosephus Wojtyła anno 1920 in civitate Wadowice in Polonia natus est. Presbyteratu auctus, studiis theologiae in Urbe completis, in patriam reditus variis pastoralibus academicisque muneribus functus est. Iam Episcopus auxiliaris Cracoviensis, anno 1964 Archiepiscopus nominatus est et Sacrosancto Concilio Oecumenico Vaticano II interfuit. Summus Pontifex die 16 octobris 1978, Ioannis Pauli II sumpto nomine, electus, summa apostolica praesertim familiarum iuvenumque et aegrotantium sollicitudine emicuit, quae eum ad innumeras populi Dei ubique per orbem terrarum Visitationes duxit cuiusque fructus, inter multos alios, eximius Ecclesiae hereditate relictus ditissimum eius Magisterium et promulgationes Catechismi Catholicae Ecclesiae atque Codicum Iuris Canonici sive Ecclesiae Latinae sive Ecclesiarum Orientalium. In Urbe die 2 aprilis 2005, in vigilia dominicae II Paschatis seu de divina misericordia, pie in Domino quievit.
De Communi pastorum: pro papa.
Ad Officium lectionis

Lectio altera

Ex Homília beáti Ioánnis Pauli Secúndi, papae, in inítio pontificátus.

(Die 22 octobris 1978: AAS 70 [1978], 945-947)

Nolite timere! Aperite ianuas Christo!

Petrus Romam venit! Quid enim eum hanc in Urbem, cor Impérii Románi, diréxit et condúxit, nisi inspiratióni a Dómino infúsae oboediéntia? Fórsitan his Galilaéae piscátor hucúsque veníre nollet. Fórsitan illic manére mallet, apud ripas lacus Genesáreth, sua cum navícula, suis cum rétibus. Sed, a Dómino ductus, eius óbsequens inspiratióni, huc venit!
Secúndum antíquam traditiónem, témpore persecutiónis sub Neróne, Petrus Romam relínquere vóluit. Sed Dóminus intervénit: ei óbviam éxiit. Petrus ad Eum se vertit, intérrogans: «Quo vadis, Dómine?». Et Dóminus ei statim respóndit: «Romam vénio iterum crucifígi». Petrus Romam revérsus est et hic usque ad suam mansit crucifixiónem.
Aetas nostra nos invítat, nos impéllit, nos óbligat, ut Dóminum inspiciáamus et nos in húmilem piámque immergámus meditatiónem mystérii suprémae potestátis ipsíus Christi.
Ipse, Qui ex María Vírgine natus est, Fílius fabri lignárii – uti putabátur – Fílius Dei vivi, sicut Petrus conféssus est, venit, ut ex ómnibus nobis «regnum sacerdótum» institúeret.
Concílium Oecuménicum Vaticánum II nobis mystérium memorávit huius potestátis, in lucem próferens missiónem Christi – Sacerdótis, Prophétae et Magístri, Regis – quae in Ecclésia perséquitur. Omnes, totus Dei Pópulus istam tríplicem partícipat missiónem. Et fórsitan praetérito témpore in caput Papae tiára imponebátur, haec nempe triplex coróna, ut significáret, per eiúsmodi signum, quod totus ordo hierárchicus Ecclésiae Christi, tota eius «sacra potéstas» in ea exercitáta, áliud non est nisi ministérium, ministérium quod velut unum tenet propósitum: ut univérsus Dei Pópulus hanc triplicem partícipet Christi missiónem atque semper sub Dómini potestáte máneat, quae suam oríginem non e potestátibus huius mundi trahit, sed a Patre caelésti et e mystério Crucis Resurrectionísque.
Potéstas absolúta simúlque dulcis et suavis Dómini omni respóndet hóminis profunditáti, eiúsque altíssimis intelléctus, voluntátis cordísque adspiratiónibus. Ea non róboris sermóne lóquitur, sed in caritáte veritatéque exprímitur.
Novus Petri Succéssor in Romána Sede hódie férvidam, húmilem fiduciosámque élevat precem: «Christe! Fac, ut ego fíeri et esse possim servus únicae tuae potestátis! Servus dulcis tuae potestátis! Servus tuae potestátis quae nescit occásum! Fac, ut ego servus esse possim! Immo, tuórum servus servórum».
Fratres et Soróres! Nolite timére Christum excípere eiúsque potestátem suscípere! Auxiliámini Summum Pontíficem et omnes qui Christo et, cum Christi potestáte, hómini totíque humáno géneri servíre cúpiunt!
Nolíte timére! Aperíte, immo, expándite iánuas Christo! Eius salvíficae potestáti aperíte Státuum fines, systémata oeconómica nec non política, vastas cultúrae, civílis cultus et progressiónis províncias. Nolíte timére! Christus scit «quid in hómine sit». Solus Ille novit!
Hódie saepe homo nescit quid intus, in profunditáte ánimi sui suíque cordis áfferat. Saepe sensus eius vitae hac in terra est incértus. Dúbio obrúitur quod in desperatiónem mutátur. Sínite ígitur – rogo vos, humíliter ac fidénter vos implóro – sinite Christum cum hómine loqui. Solus Ille verba vitae habet, sic! vitae aetérnae.

Responsorium

R/. Nolíte timére: Redémptor hóminis crucis potestátem revelávit et pro nobis vitam dedit! * Aperíte, expándite iánuas Christo.
V/. Vocámur in Ecclésia, ut eius participémus potestátem. * Aperíte.

Oratio
Deus, dives in misericórdia, qui beátum Ioánnem Paulum, papam, univérsae Ecclésiae tuae praeésse voluísti, praesta, quaésumus, ut, eius institútis edócti, corda nostra salutíferae grátiae Christi, uníus redemptóris hóminis, fidénter aperiámus. Qui tecum.



domenica 21 ottobre 2012

Il fanone di papa Benedetto XVI


Durante la solenne celebrazione odierna della canonizzazione di 7 nuovi santi, il Santo Padre Benedetto XVI ha indossato un paramento liturgico peculiare dei Pontefici: il fanone; che non veniva usato da un po' di tempo, da non molto, per dire la verità, l'ultimo ad utilizzarlo era stato il Beato Giovanni Paolo II, nel 1984 (vedi foto qui sotto).


Il fanone (dal latino fano, panno) consiste in una sorta di mozzetta di seta bianca, solcato da strisce perpendicolari dorate e rosse,ha la foggia di ampio collare che copre le spalle del Pontefice e scende fino al petto ove è posta una grande croce dorata.

 


Le sue origine risalgono all'anagolajum, di cui parla l'Ordo Romanus I, e che era comune a tutti i chierici; col tempo, però, divenne di pertinenza esclusiva dei papi fra il X e il XII sec.

Invece il romano pontefice dopo l’alba e il cingolo indossa il fanone, che avvolge attorno alla testa e ripiega sulle spalle, seguendo il metodo del sommo sacerdote , il quale, dopo il manto e la cintura indossava l’efod, cioè il pettorale, al posto del quale c’è ora l’amitto” 

[“Romanus autem pontifex post albam et cingulum assumit orale, quod circa caput involvit, et replicat super humeros, legalis pontificis ordinem sequens, qui post lineam strictam et zonam induebatur ephod, id est superhumerale, cuius locum modo tenet amictus.”] (cfr. De Sacro Altaris Mysterio, libro I, cap. 53, in PL 217, 793 D)

Questo paramento che si indossa nelle occasioni più solenni, simile ad uno scudo, vuole rappresentare lo scudo della fede che protegge il papa, è molto significativo che sia stato riutilizzato proprio in quest'anno della fede.

Di seguito ecco alcune foto che rappresentano i Pontefici che indossano questa veste liturgica:

Paolo VI



Giovanni XXIII


Pio XII


Pio IX



Benedetto XV



Pio X



Pio IX



giovedì 11 ottobre 2012

Al via l'anno della fede, l'omelia del Santo Padre



Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia oggi, a 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, diamo inizio all’Anno della fede. Sono lieto di rivolgere il mio saluto a tutti voi, in particolare a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli, e a Sua Grazia Rowan Williams, Arcivescovo di Canterbury. Un pensiero speciale ai Patriarchi e agli Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche, e ai Presidenti delle Conferenze Episcopali. Per fare memoria del Concilio, che alcuni di noi qui presenti – che saluto con particolare affetto - hanno avuto la grazia di vivere in prima persona, questa celebrazione è stata arricchita di alcuni segni specifici: la processione iniziale, che ha voluto richiamare quella memorabile dei Padri conciliari quando entrarono solennemente in questa Basilica; l’intronizzazione dell’Evangeliario, copia di quello utilizzato durante il Concilio; la consegna dei sette Messaggi finali del Concilio e quella del Catechismo della Chiesa Cattolica, che farò al termine, prima della Benedizione. Questi segni non ci fanno solo ricordare, ma ci offrono anche la prospettiva per andare oltre la commemorazione. Ci invitano ad entrare più profondamente nel movimento spirituale che ha caratterizzato il Vaticano II, per farlo nostro e portarlo avanti nel suo vero senso. E questo senso è stato ed è tuttora la fede in Cristo, la fede apostolica, animata dalla spinta interiore a comunicare Cristo ad ogni uomo e a tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesa sulle vie della storia.
L’Anno della fede che oggi inauguriamo è legato coerentemente a tutto il cammino della Chiesa negli ultimi 50 anni: dal Concilio, attraverso il Magistero del Servo di Dio Paolo VI, il quale indisse un «Anno della fede» nel 1967, fino al Grande Giubileo del 2000, con il quale il Beato Giovanni Paolo II ha riproposto all’intera umanità Gesù Cristo quale unico Salvatore, ieri, oggi e sempre. Tra questi due Pontefici, Paolo VI e Giovanni Paolo II, c’è stata una profonda e piena convergenza proprio su Cristo quale centro del cosmo e della storia, e sull’ansia apostolica di annunciarlo al mondo. Gesù è il centro della fede cristiana. Il cristiano crede in Dio mediante Gesù Cristo, che ne ha rivelato il volto. Egli è il compimento delle Scritture e il loro interprete definitivo. Gesù Cristo non è soltanto oggetto della fede, ma, come dice la Lettera agli Ebrei, è «colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (12,2).
Il Vangelo di oggi ci dice che Gesù Cristo, consacrato dal Padre nello Spirito Santo, è il vero e perenne soggetto dell’evangelizzazione. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Questa missione di Cristo, questo suo movimento continua nello spazio e nel tempo, attraversa i secoli e i continenti. E’ un movimento che parte dal Padre e, con la forza dello Spirito, va a portare il lieto annuncio ai poveri di ogni tempo – poveri in senso materiale e spirituale. La Chiesa è lo strumento primo e necessario di questa opera di Cristo, perché è a Lui unita come il corpo al capo. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Così disse il Risorto ai discepoli, e soffiando su di loro aggiunse: «Ricevete lo Spirito Santo» (v. 22). E’ Dio il principale soggetto dell’evangelizzazione del mondo, mediante Gesù Cristo; ma Cristo stesso ha voluto trasmettere alla Chiesa la propria missione, e lo ha fatto e continua a farlo sino alla fine dei tempi infondendo lo Spirito Santo nei discepoli, quello stesso Spirito che si posò su di Lui e rimase in Lui per tutta la vita terrena, dandogli la forza di «proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista», di «rimettere in libertà gli oppressi» e di «proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).
Il Concilio Vaticano II non ha voluto mettere a tema la fede in un documento specifico. E tuttavia, esso è stato interamente animato dalla consapevolezza e dal desiderio di doversi, per così dire, immergere nuovamente nel mistero cristiano, per poterlo riproporre efficacemente all’uomo contemporaneo. Al riguardo, così si esprimeva il Servo di Dio Paolo VI due anni dopo la conclusione dell’Assise conciliare: «Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare [alcune] affermazioni conciliari (…) per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa» (Catechesi nell’Udienza generale dell’8 marzo 1967). Così Paolo VI nel '67.
Ma dobbiamo ora risalire a colui che convocò il Concilio Vaticano II e che lo inaugurò: il BeatoGiovanni XXIII. Nel Discorso di apertura, egli presentò il fine principale del Concilio in questi termini: «Questo massimamente riguarda il Concilio Ecumenico: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito ed insegnato in forma più efficace. (…) Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina… Per questo non occorreva un Concilio… E’ necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (AAS 54 [1962], 790.791-792). Così Papa Giovanni nell'inaugurazione del Concilio.
Alla luce di queste parole, si comprende quello che io stesso allora ho avuto modo di sperimentare: durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo. Ma affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione non rimanga soltanto ideale e non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa, e questa base sono i documenti del Concilio Vaticano II, nei quali essa ha trovato espressione. Per questo ho più volte insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla «lettera» del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne l’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del Vaticano II si trova in essi. Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità. Il Concilio non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede, né ha voluto sostituire quanto è antico. Piuttosto si è preoccupato di far sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell’oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento.
Se ci poniamo in sintonia con l’impostazione autentica, che il Beato Giovanni XXIII volle dare al Vaticano II, noi potremo attualizzarla lungo questo Anno della fede, all’interno dell’unico cammino della Chiesa che continuamente vuole approfondire il bagaglio della fede che Cristo le ha affidato. I Padri conciliari volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse del depositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità.
Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa! E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l’iniziativa di creare un Pontificio Consiglio destinato alla promozione della nuova evangelizzazione, che ringrazio dello speciale impegno per l’Anno della fede, rientra in questa prospettiva. In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale. Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, al tempo del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. E’ il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. La prima Lettura ci ha parlato della sapienza del viaggiatore (cfr Sir 34,9-13): il viaggio è metafora della vita, e il sapiente viaggiatore è colui che ha appreso l’arte di vivere e la può condividere con i fratelli – come avviene ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che non a caso sono tornate in auge in questi anni. Come mai tante persone oggi sentono il bisogno di fare questi cammini? Non è forse perché qui trovano, o almeno intuiscono il senso del nostro essere al mondo? Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è ilCatechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono.
Venerati e cari Fratelli, l’11 ottobre 1962 si celebrava la festa di Maria Santissima Madre di Dio. A Lei affidiamo l’Anno della fede, come ho fatto una settimana fa recandomi pellegrino a Loreto. La Vergine Maria brilli sempre come stella sul cammino della nuova evangelizzazione. Ci aiuti a mettere in pratica l’esortazione dell’apostolo Paolo: «La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda… E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di Lui a Dio Padre» (Col 3,16-17). Amen.