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martedì 28 febbraio 2012

Tempo di Via Crucis


La Quaresima è il tempo per eccellenza, designato alla celebrazione della Via Crucis, pio esercizio tanto caro ai fedeli, da praticare specialmente il Venerdì, in ricordo della Passione del Signore. Ecco quanto afferma il Direttorio su  pietà popolare e liturgia della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti:


La «Via Crucis»

131. Tra i pii esercizi con cui i fedeli venerano la Passione del Signore pochi sono tanto amati quanto la Via Crucis. Attraverso il pio esercizio i fedeli ripercorrono con partecipe affetto il tratto ultimo del cammino percorso da Gesù durante la sua vita terrena: dal Monte degli Ulivi, dove nel «podere chiamato Getsemani» (Mc 14, 32) il Signore fu «in preda all’angoscia» (Lc 22, 44), fino al Monte Calvario dove fu crocifisso tra due malfattori (cf. Lc 23, 33), al giardino dove fu deposto in un sepolcro nuovo, scavato nella roccia (cf. Gv 19, 40-42).
Testimonianza dell’amore del popolo cristiano per il pio esercizio sono le innumerevoli Via Cruciserette nelle chiese, nei santuari, nei chiostri e anche all’aperto, in campagna o lungo la salita di una collina, alla quale le varie stazioni conferiscono una fisionomia suggestiva.

132. La Via Crucis è sintesi di varie devozioni sorte fin dall’alto Medioevo: il pellegrinaggio in Terra Santa, durante il quale i fedeli visitano devotamente i luoghi della Passione del Signore; la devozione alle “cadute di Cristo” sotto il peso della croce; la devozione ai “cammini dolorosi di Cristo”, che consiste nell’incedere processionale da una chiesa all’altra in memoria dei percorsi compiuti da Cristo durante la sua Passione; la devozione alle “stazioni di Cristo”, cioè ai momenti in cui Gesù si ferma lungo il cammino verso il Calvario perché costretto dai carnefici, o perché stremato dalla fatica, o perché, mosso dall’amore, cerca di stabilire un dialogo con gli uomini e le donne che assistono alla sua Passione.
Nella sua forma attuale, attestata già nella prima metà del secolo XVII, la Via Crucis, diffusa soprattutto da san Leonardo da Porto Maurizio († 1751), approvata dalla Sede Apostolica ed arricchita da indulgenze,[137] consta di quattordici stazioni.

133. La Via Crucis è una via tracciata dallo Spirito Santo, fuoco divino che ardeva nel petto di Cristo (cf. Lc 12, 49-50) e lo sospinse verso il Calvario; ed è una via amata dalla Chiesa, che ha conservato memoria viva delle parole e degli avvenimenti degli ultimi giorni del suo Sposo e Signore.
Nel pio esercizio della Via Crucis confluiscono pure varie espressioni caratteristiche della spiritualità cristiana: la concezione della vita come cammino o pellegrinaggio; come passaggio, attraverso il mistero della Croce, dall’esilio terreno alla patria celeste; il desiderio di conformarsi profondamente alla Passione di Cristo; le esigenze della sequela Christi, per cui il discepolo deve camminare dietro il Maestro, portando quotidianamente la propria croce (cf. Lc 9, 23).
Per tutto ciò la Via Crucis è un esercizio di pietà particolarmente adatto al tempo di Quaresima.

134. Per un fruttuoso svolgimento della Via Crucis potranno risultare utili le indicazioni seguenti:
- la forma tradizionale, con le sue quattordici stazioni, deve ritenersi la forma tipica del pio esercizio; tuttavia, in alcune occasioni, non è da escludere la sostituzione dell’una o dell’altra “stazione” con altre riflettenti episodi evangelici del cammino doloroso di Cristo, non considerati nella forma tradizionale;
- in ogni caso esistono forme alternative della Via Crucis, approvate dalla Sede Apostolica[138]  o pubblicamente usate dal Romano Pontefice:[139] esse sono da ritenersi forme genuine, cui far ricorso secondo l’opportunità;
- la Via Crucis è pio esercizio relativo alla Passione di Cristo; è opportuno tuttavia che esso si concluda in modo tale che i fedeli si aprano all’attesa, piena di fede e di speranza, della risurrezione; sull’esempio della sosta all’Anastasis al termine della Via Crucis a Gerusalemme, si può concludere il pio esercizio con la memoria della risurrezione del Signore.

135. I testi per la Via Crucis sono innumerevoli. Essi sono stati composti da pastori mossi da sincera stima per il pio esercizio, convinti della sua efficacia spirituale; talvolta hanno per autore fedeli laici, eminenti per santità di vita o per dottrina o per doti letterarie.
La scelta del testo, tenuto conto delle eventuali indicazioni dei Vescovi, dovrà essere fatta tenendo presenti soprattutto la condizione dei partecipanti al pio esercizio e il principio pastorale di contemperare saggiamente continuità e innovazione. In ogni caso saranno da preferire testi in cui risuoni, correttamente applicata, la parola biblica e che siano scritti in un linguaggio nobile e semplice.
Uno svolgimento sapiente della Via Crucis, in cui parola, silenzio, canto, incedere processionale e sostare riflessivo si alternino in modo equilibrato contribuisce al conseguimento dei frutti spirituali del pio esercizio.

Il colore quaresimale


Il colore viola è uno dei colori dello spettro che l'uomo riesce a vedere. È quello associato alla frequenza più alta ed alla lunghezza d'onda più corta compresa nell'intervallo tra i 420 e i 380 nanometri. Prende il nome dal fiore omonimo di cui descrive il colore.

 

La Chiesa Cattolica usa  paramenti liturgici di colore viola nei periodi di purificazione penitenza (Avvento e Quaresima),solitamente si è soliti usare un viola più chiaro, tendente al fucsia, per l’Avvento e un viola più scura, vinaccia, per la Quaresima, per distinguere la diversa indole dei due tempi liturgici, l’uno una gioiosa attesa del Signore che nasce a Betlemme e che verrà nella parusìa, alla fine dei tempi; l’altro un tempo di penitenza e purificazione interiore per prepararsi alla Pasqua del Signore.

 

Il viola si ottiene dall’unione dei colori rosso e blu; il rosso rappresenta, come si può vedere in molte icone e quadri, (vedi immagine sotto) la divinità; il blu l’umanità, l’unione fra il cielo e la terra.



Ben si comprende, allora, il significato del colore quaresimale che vuole significare l’unione della natura umana e divina in Gesù Cristo che ha assunto la natura umana per redimerla. Dio si è umanizzato per divinizzare l’uomo, e per far ciò ha mandato il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, quando venne la pienezza dei tempi, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli (Gal, 4, 4-5).


Una umanizzazione estrema che ha il suo culmine sulla croce, punto focale della Quaresima e della vita del cristiano, segno glorioso e trono regale del Salvatore.

È il colore della  della metamorfosi, della conversione che il cristiano deve attuare per la sua santificazione interiore.


Altro colore utilizzato nella Quaresima è il rosa, un viola che viene mitigato dall'aggiunta del bianco della Luce Pasquale, utilizzato nella IV Domenica (Laetare) per sottolineare la vicinanza dell'ormai prossima Pasqua. La liturgia di questa Domenica, infatti, presenta altri segni di gioia: ricompaiono i fiori sull'altare e il suono dell'organo si fa più sostenuto.





Il rito ambrosiano presenta alcune particolarità, il colore liturgico è infatti il morello e, nei giorni feriali, dal lunedì al venerdì, il morello può essere sostituito dal nero, non come colore luttuoso, ma per rimarcare, in modo più evidente, anche sul piano visivo e attraverso i segni sensibili, un accento preciso del cammino quaresimale. Nel Rito ambrosiano, infatti, l’itinerario delle ferie dal lunedì al venerdì sottolinea maggiormente l’aspetto penitenziale, mentre assegna la memoria battesimale soprattutto ai sabati e alle domeniche. L’uso del colore liturgico nero – alternato al morello festivo (sabato e domenica) – si carica quindi di un profondo simbolismo, capace di esprimere il senso della vita cristiana in cammino lungo il corso dell’anno liturgico, ispirando il pentimento e connotando fortemente i giorni austeri della Quaresima.

Questa scelta trova le sue origini nella più antica tradizione liturgica comune sia alla Chiesa d’Oriente che d’Occidente. Il nero, infatti, fu da sempre ritenuto capace di esprimere una risposta all’invito alla conversione, prestando voce – nel silenzioso, ma eloquente linguaggio dei colori – all’interiore anelito di salvezza. Con tale accezione fu riconosciuto come colore penitenziale per eccellenza, al punto da diventare simbolo della stessa vita monastica, contribuendo a identificare quanti si esercitavano assiduamente nella purificazione del cuore. Solo successivamente il nero fu accolto – e con significative eccezioni – anche nei riti esequiali, senza tuttavia perdere il suo principale significato: richiamare i credenti alla radicalità del rinnovamento. La liturgia milanese fino alla Riforma del Vaticano II conservò tale uso per le ferie di Quaresima e per i giorni segnati dal digiuno e da una più intensa invocazione della misericordia divina.

Come ricordano le Premesse del Messale, «la differenza dei colori nelle vesti sacre ha lo scopo di esprimere, anche con mezzi esterni, la caratteristica particolare dei misteri della fede che vengono celebrati» (n. 320). Quindi non un banale esercizio di “archeologia”, ma una via per rimarcare, in modo più evidente, anche sul piano visivo e attraverso i segni sensibili – «tanto nella liturgia quanto nella catechesi liturgica» (Sacrosanctum Concilium, n. 109) – un accento preciso del cammino quaresimale. Nel Rito ambrosiano, infatti, l’itinerario delle ferie dal lunedì al venerdì sottolinea maggiormente l’aspetto penitenziale, mentre assegna la memoria battesimale soprattutto ai sabati e alle domeniche. L’uso del colore liturgico nero – alternato al morello festivo – si carica quindi di un profondo simbolismo, capace di esprimere il senso della vita cristiana in cammino lungo il corso dell’anno liturgico, ispirando il pentimento e connotando fortemente i giorni austeri della Quaresima.



 

sabato 25 febbraio 2012

LA STAZIONE ROMANA DELLA I DOMENICA DI QUARESIMA


La Paschalis Sollemitas, al n. 23, afferma: Cioè suggerisce, come si evince dalla nota 26, che si compia, in detta Domenica, il rito della Statio, prima della Santa Messa.

23.       La domenica I di quaresima segna l’inizio del segno sacramentale della nostra conversione, tempo favorevole per la nostra salvezza. (25) Nella messa di questa domenica non manchino gli elementi che sottolineano tale importanza; per es., la processione di ingresso con le litanie dei santi. (26) Durante la messa della domenica I di quaresima il vescovo celebri opportunamente nella chiesa cattedrale o in altra chiesa il rito dell’«elezione» o iscrizione del nome, secondo le necessità pastorali. (27)


Per chi si chiedesse cosa sia una Stazione Romana, vivamente raccomandata anche da una rubrica del Messale Romano posta sulla I pagina del tempo di Quaresima, propongo l'intervista riportata dall'OSSERVATORE ROMANO dell'8 febbraio 2008, rivolta a mons. Pasquale Iacobone, della pontificia accademia CULTORUM MARTYRUM:

Le "stationes" quaresimali nella tradizione della Chiesa 
di Nicola Gori

Vigilare, come le "sentinelle a guardia dell'accampamento", ma armati della preghiera, forgiati dalla penitenza e fortificati nello spirito dal digiuno.Monsignor Pasquale Iacobone, sacerdos della Pontificia Accademia cultorum martyrum, nell'intervista rilasciata a "L'Osservatore Romano", spiega così il significato delle stationes che, secondo un'antica tradizione risalente ufficialmente al V secolo, vengono celebrate nel corso della quaresima. Ne ha ripercorso la storia e si è soffermato su alcune particolarità.
Quali sono le origini della statio e cos'è? 

Abbiamo documentazione antichissima. Già con alcuni Padri della Chiesa, già nel Pastore di Erma e poi in Cipriano, Tertulliano e in altri Padri, abbiamo indicazioni in merito. Che cos'è dunque la statio? Innanzitutto, una veglia, accompagnata dal digiuno, con la quale ci si prepara a vivere un avvenimento importante. Si riprende la terminologia militare, come sottolinea sant'Ambrogio, per cui la statio ci rimanda all'immagine della sentinella che vigila nell'accampamento. Questo atteggiamento si collega ad uno dei motivi essenziali della quaresima: vigilate, state attenti e compite in particolare opere di penitenza, di carità e di digiuno. Queste opere vengono collegate tra loro e proposte per creare un atteggiamento di conversione profonda attraverso, appunto, la vigilanza, le pratiche e gli esercizi di pietà. Concretamente, la statio diventa poi l'incontro della comunità cristiana che si raduna nei cosiddetti tituli, cioè le antiche parrocchie o i santuari dove erano deposti i martiri. A tal proposito ricordiamo che un antico documento, la Depositio martyrum, del 336, ci riferisce il luogo dove riposa il martire e dove si tiene la statio, cioè il luogo dove la comunità si riunisce per pregare quel martire nel ricordo del suo dies natalis. L'incontro della comunità cristiana con il vescovo si apre con la "colletta". Ci si riunisce in una chiesa da cui si parte per una processione lungo la quale si cantano le litanie, per questo si parla di letania. Nel Liber Pontificalis si parla sempre di fare una letania, cioè una processione della comunità con il proprio vescovo dalla chiesa vicina alla chiesa stazionaria o a una delle grandi basiliche, dove si conserva la memoria del martire.

A che epoca risale la tradizione della "statio"? 
La prima notizia storica ufficiale l'abbiamo con Papa Ilaro (461-468). Nel Liber pontificalis, si dice che il Papa dona alla Chiesa di Roma una serie di vasi sacri da utilizzare nelle chiese in cui avvenivano le stationes. C'erano le stazioni quaresimali dei diversi tempi liturgici, avvento, quaresima e Pasqua, sia le stazioni stabilite per le celebrazioni solenni di alcuni santi e martiri. Pietro e Paolo, innanzitutto, poi Lorenzo, Agnese, Cecilia. Questo uso era diffuso a Roma, ma si diffonde poi in tutta Europa, come nell'Africa del nord, a Milano, Ravenna, in Germania e in Gallia. Esistono dei testi liturgici di queste Chiese, che riportano la successione delle stazioni con il nome della chiesa romana, che i libri liturgici romani non riportano, perché era scontata. Nei calendari liturgici non romani venivano invece esplicitamente ricordate le chiese stazionali di Roma, per sentirsi in piena comunione con la comunità di Roma e il suo vescovo, il Papa. Una prima riorganizzazione e sistemazione delle stationes avviene, secondo la tradizione, con Gregorio Magno.

Alle stationes il Papa ha sempre partecipato? 
All'inizio le stazioni erano sempre presiedute dal vescovo. A Roma dal Papa, nelle altre diocesi dai rispettivi vescovi, per esempio sant'Ambrogio a Milano. La statio non si teneva tutti i giorni. Inizialmente si svolgeva solo in alcuni giorni più significativi, per esempio il martedì, il mercoledì e il venerdì. In seguito, Gregorio II aggiunse il giovedì, per cui alla fine tutta la settimana era occupata dalle stazioni e così tutti i 40 giorni della quaresima divennero giorni stazionari. Il Papa si recava nella chiesa vicina a quella stazionaria. Lì si recitava la "colletta", cioè la preghiera di riunione, e quindi si formava la processione che, al canto delle litanie dei santi, giungeva alla chiesa stazionaria dove si partecipava a una veglia di preghiera, successivamente sostituita dalla celebrazione eucaristica. Questo fino all'esilio avignonese, a causa del quale si verifica una decadenza delle pratiche liturgiche. Anche la liturgia stazionale decade notevolmente. Viene ripresa in alcuni momenti, ad esempio con san Carlo Borromeo e col Papa san Pio V, ma vive alti e bassi, anche perché non sempre il Papa vi partecipa. Arriviamo al 1870 quando definitivamente le stationes non ebbero più luogo, perché venne proibita la processione per le vie della città in seguito ai moti che portarono all'unità d'Italia e alla presa di Roma.

Quando e come è ripresa la pia pratica? 
Dobbiamo arrivare al primo '900 per vedere rifiorire le stationes romane, con il nostro Magister monsignor Respighi, che dal '31 al '47 sostenne e incoraggiò questa tradizione, la rilanciò a Roma. Da allora anche il Papa partecipa alla prima statio, quella che ora si svolge a Santa Sabina.

Santa Sabina è sempre stata la prima "statio"?
No, non sempre, perché fino a una certa epoca la quaresima cominciava la domenica e alla domenica si cominciava sempre dalle grandi basiliche. Nel momento in cui la quaresima è stata anticipata al mercoledì delle ceneri per essere effettivamente di 40 giorni, si è anticipata anche la prima stazione, e la si è collocata a Santa Sabina all'Aventino.

In che secolo è avvenuto questo cambiamento? 
Si deve risalire a Gregorio Magno nel VI secolo, perché fu lui a stabilire questa tradizione. Poi, è chiaro, ci sono stati dei cambiamenti. Non sempre le stazioni sono state collocate nelle stesse chiese, perché ad un certo punto alcune di esse sono decadute, oppure il titolo è stato spostato in una chiesa dove era più facile favorire la partecipazione dei fedeli, perché la chiesa era decadente o scomparsa.

E oggi? 
Devo dire che molte chiese stazionali consentono di vivere l'evento in un contesto dignitoso e confacente; altre, soprattutto le chiese storiche, dove non c'è una comunità parrocchiale, dove non c'è una comunità viva, presentano qualche difficoltà. Noi come Collegium cerchiamo di partecipare a tutte le stazioni. C'è anche un'alternanza dei soci, affinché in ogni stazione ci sia sempre un'adeguata presenza, per tutti i 40 giorni della quaresima. Ultimamente, abbiamo anche cercato di venire incontro alle esigenze di un sempre maggior numero di fedeli. È il caso dello spostamento di una statio collocata in una chiesa stazionale tradizionale ma situata in luoghi magari poco accessibili, soprattutto per gli anziani. La celebriamo in una parrocchia. Per esempio, in questi ultimi anni abbiamo celebrato la stazione nella nuova
parrocchia dei Protomartiri romani. È nuova, ma ci riporta alla memoria dei Protomartiri, e dunque è evidente il motivo per il quale abbiamo proposto di celebrare in quella parrocchia una stazione quaresimale. Credo, tra l'altro, che sia un segno importante in questo momento, perché è anche un modo per cercare di dare una risposta concreta a quanti paventano il rischio della dispersione e della disgregazione della comunità. La "colletta" e quindi la statio ripropongono l'immagine della comunità che si raduna attorno al vescovo, o al celebrante. Dunque rappresentano un segno di comunione e di unità attorno al vescovo. È un modo anche di far capire come sia sempre attuale la necessità di vigilanza, di attenzione per una conversione interiore profonda. Questi piccoli gesti simbolici, accompagnati dal canto delle litanie, creano anche un clima di comunione con i santi, con chi ci ha preceduto. E forse è anche l'occasione per riscoprire il senso di appartenenza all'unica comunità dei credenti nel Cristo, presente sull'altare.



La Statio Romana di Roma, domani, sarà a San Giovanni in Laterano.

Il Papa, ancor oggi, celebra la Statio che da inizio alla Quaresima, quella di Santa Sabina, nel Mercoledì delle Ceneri.

Degna di particolare menzione è la Statio della V Domenica di Quaresima che si svolge nella Basilica di San Pietro, durante la quale, il celebrante sale alla loggia della Veronica da dove, con l'ausilio dei canonici della Basilica Papale, ostende e benedice il popolo con la veneranda reliquia del Volto Santo; secondo la tradizione sarebbe il velo usato dalla Veronica per tergere il viso di Gesù, durante la sua salita al Calvario.

Al link potete trovare tutte le Stationes dei vari giorni, nell'Urbe, con approfondimenti storici:http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_academies/cult-martyrum/documents/rc_pa_martyrum_20020924_stazioni_it.html


Il tempo di Quaresima e la Paschalis Sollemnitatis

Vi posto un estratto della PASCHALIS SOLLEMNITATIS, lettera circolare della CONGEGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI,  sulla preparazione delle feste pasquali, riguardante il tempo di quaresima.



 Ecco il link per chi volesse il testo completo:http://www.celebrare.it/documenti/feste_pasquali.htm


I. IL TEMPO DELLA QUARESIMA

6.         «L’annuale cammino di penitenza della quaresima è il tempo di grazia, durante il quale si sale al monte santo della pasqua».
«Infatti la quaresima, per la sua duplice caratteristica, riunisce insieme catecumeni e fedeli nella celebrazione del mistero pasquale. I catecumeni sia attraverso l”’elezione” e gli “scrutini” che per mezzo della catechesi vengono ammessi ai sacramenti dell’iniziazione cristiana; i fedeli invece attraverso l’ascolto più frequente della parola di Dio e una più intensa orazione vengono preparati con la penitenza a rinnovare le promesse del battesimo». (6)

a)         Quaresima e iniziazione cristiana

7.         Tutta l’iniziazione cristiana ha un’indole pasquale, essendo la prima partecipazione sacramentale della morte e risurrezione di Cristo. Per questo la quaresima deve raggiungere il suo pieno vigore come tempo di purificazione e di illuminazione, specie attraverso gli «scrutini» e le «consegne»; la stessa veglia pasquale deve essere considerata come il tempo più adatto per celebrare i sacramenti dell’iniziazione. (7)
8.         Anche le comunità ecclesiali, che non hanno catecumeni, non tralascino di pregare per coloro che altrove, nella prossima veglia pasquale, riceveranno i sacramenti dell’iniziazione cristiana. I pastori a loro volta spieghino ai fedeli l’importanza della professione di fede battesimale, in ordine alla crescita della loro vita spirituale. A rinnovare tale professione di fede essi verranno invitati, «al termine del cammino penitenziale della quaresima». (8)
9.         In quaresima si abbia cura di impartire la catechesi agli adulti che, battezzati da bambini, non l'hanno ancora ricevuta e pertanto non sono stati ammessi ai sacramenti della cresima e dell’eucaristia. In questo stesso periodo si facciano le celebrazioni penitenziali, per prepararli al sacramento della riconciliazione. (9)
10.       Il tempo della quaresima è inoltre il tempo proprio per celebrare i riti penitenziali corrispondenti agli scrutini per i fanciulli non ancora battezzati, che hanno raggiunto l’età adatta all’istruzione catechetica e per i fanciulli da tempo battezzati, prima che siano ammessi per la prima volta al sacramento della penitenza. (10)
Il vescovo promuova la formazione dei catecumeni sia adulti che fanciulli e, secondo le circostanze, presieda ai riti prescritti, con l’assidua partecipazione da parte della comunità locale. (11)

b)         Le celebrazioni del tempo quaresimale

11.       Le domeniche di quaresima hanno sempre la precedenza anche sulle feste del Signore e su tutte le solennità. Le solennità, che coincidono con queste domeniche, si anticipano al sabato. (12) A loro volta le ferie della quaresima hanno la precedenza sulle memorie obbligatorie. (13)
12.       Soprattutto nelle omelie della domenica venga impartita la istruzione catechetica sul mistero pasquale e sui sacramenti, con una più accurata spiegazione dei testi del lezionario, soprattutto le pericopi del Vangelo, che illustrano i vari aspetti del battesimo e degli altri sacramenti ed anche la misericordia di Dio.
13.       I pastori spieghino la parola di Dio in modo più frequente e più ampio nelle omelie dei giorni feriali, nelle celebrazioni della Parola, nelle celebrazioni penitenziali, (14) in particolari predicazioni, nel far visita alle famiglie o a gruppi di famiglie per la benedizione. I fedeli partecipino con frequenza alle messe feriali e, quando ciò non è possibile, siano invitati a leggere almeno i testi delle letture corrispondenti, in famiglia o in privato.
14.       «Il tempo di quaresima conserva la sua indole penitenziale». (15) «Nella catechesi ai fedeli venga inculcata, insieme alle conseguenze sociali del peccato, la natura genuina della penitenza, con cui si detesta il peccato in quanto offesa a Dio». (16)
La virtù e la pratica della penitenza rimangono parti necessarie della preparazione pasquale: dalla conversione del cuore deve scaturire la pratica esterna della penitenza, sia per i singoli cristiani che per tutta la comunità; pratica penitenziale che, sebbene adattata alle circostanze e condizioni proprie del nostro tempo, deve però essere sempre impregnata dello spirito evangelico di penitenza e dirigersi verso il bene dei fratelli.
Non si dimentichi la parte della chiesa nell’azione penitenziale e si solleciti la preghiera per i peccatori, inserendola più di frequente nella preghiera universale. (17)
15.       Si raccomandi ai fedeli una più intensa e fruttuosa partecipazione alla liturgia quaresimale e alle celebrazioni penitenziali. Si raccomandi loro soprattutto di accostarsi in questo tempo al sacramento della penitenza secondo la legge e le tradizioni della chiesa, per poter partecipare con animo purificato ai misteri pasquali. È molto opportuno nel tempo di quaresima celebrare il sacramento della penitenza secondo il rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e assoluzione individuale, come descritto nel Rituale romano. (18)
Da parte loro i pastori siano più disponibili per il ministero della riconciliazione e, ampliando gli orari per la confessione individuale, facilitino l’accesso a questo sacramento.
16.       Il cammino di penitenza quaresimale in tutti i suoi aspetti sia diretto a porre in più chiara luce la vita della chiesa locale e a favorirne il progresso. Per questo si raccomanda molto di conservare e favorire la forma tradizionale di assemblea della chiesa locale sul modello delle «stazioni» romane. Queste assemblee di fedeli potranno essere riunite, specie sotto la presidenza del pastore della diocesi, o presso i sepolcri dei santi o nelle principali chiese e santuari della città o in quei luoghi di pellegrinaggio più frequentati nella diocesi. (19)
17.       In quaresima «non sono ammessi i fiori sull’altare e il suono degli strumenti è permesso soltanto per sostenere i canti», (20) nel rispetto dell’indole penitenziale di questo tempo.
18.       Ugualmente si omette l’«Alleluia» in tutte le celebrazioni dall’inizio della quaresima fino alla veglia pasquale, anche nelle solennità e nelle feste. (21)
19.       Si scelgano soprattutto nelle celebrazioni eucaristiche, ma anche nei pii esercizi, canti adatti a questo tempo e rispondenti il più possibile ai testi liturgici.
20.       Siano favoriti e impregnati di spirito liturgico i pii esercizi più consoni al tempo quaresimale, come la «via crucis», per condurre più facilmente gli animi dei fedeli alla celebrazione del mistero pasquale di Cristo.

c)         Particolarità di alcuni giorni della quaresima

21.       Il mercoledì avanti la domenica I di quaresima i fedeli, ricevendo le ceneri, entrano nel tempo destinato alla purificazione dell’anima. Con questo rito penitenziale sorto dalla tradizione biblica e conservato nella consuetudine ecclesiale fino a i nostri giorni, viene indicata la condizione dell’uomo peccatore che confessa esternamente la sua colpa davanti a Dio ed esprime così la volontà di una conversione interiore, nella speranza che il Signore sia misericordioso verso di lui. Attraverso questo stesso segno inizia il cammino di conversione, che raggiungerà la sua meta nella celebrazione del sacramento della penitenza nei giorni prima della pasqua. (22)
La benedizione e imposizione delle ceneri si svolge o durante la messa o anche fuori della messa. In tal caso si premette la liturgia della parola e si conclude con la preghiera dei fedeli. (23)
22.       Il mercoledì delle ceneri è giorno obbligatorio di penitenza in tutta la chiesa, con l’osservanza dell’astinenza e del digiuno. (24)
23.       La domenica I di quaresima segna l’inizio del segno sacramentale della nostra conversione, tempo favorevole per la nostra salvezza. (25) Nella messa di questa domenica non manchino gli elementi che sottolineano tale importanza; per es., la processione di ingresso con le litanie dei santi. (26) Durante la messa della domenica I di quaresima il vescovo celebri opportunamente nella chiesa cattedrale o in altra chiesa il rito dell’«elezione» o iscrizione del nome, secondo le necessità pastorali. (27)
24.       I vangeli della samaritana, del cieco nato e della risurrezione di Lazzaro, assegnati rispettivamente alle domeniche III, IV e V di quaresima nell’anno A, per la loro grande importanza in ordine alla iniziazione cristiana, possono essere letti anche negli anni B e C, soprattutto dove ci sono i catecumeni.(28)
25.       La domenica IV di quaresima («Laetare») e nelle solennità e feste è ammesso il suono degli strumenti e l’altare può essere ornato con fiori. E in questa domenica possono adoperarsi le vesti sacre di colore rosaceo. (29)
26.       L’uso di coprire le croci e le immagini nella chiesa dalla domenica V di quaresima può essere conservato secondo il giudizio della conferenza episcopale. Le croci rimangono coperte fino al termine della celebrazione della passione del Signore il venerdì santo; le immagini fino all’inizio della veglia pasquale. (30)

Prefazio della I Domenica di Quaresima

Ecco il canto del Prefazio della I Domenica di Quaresima, secondo la melodia gregoriana, tono semplice, in italiano.

http://www.youtube.com/watch?v=lrm3xUNsbyU&context=C38d3d1fADOEgsToPDskJ-iWPBApWWBkDlPDKw3CFD

I Domenica di Quaresima

Ecco la cantillatio del Vangelo della I Domenica di Quaresima, in italiano, secondo la melodia gregoriana.


Buona Quaresima !

venerdì 24 febbraio 2012

giovedì 23 febbraio 2012

Memento homo, quia pulvis es !


SANTA MESSA, BENEDIZIONE E IMPOSIZIONE DELLE CENERI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica di Santa Sabina
Mercoledì delle Ceneri, 
22 febbraio 2012
   





Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

Con questo giorno di penitenza e di digiuno – il Mercoledì delle Ceneri – iniziamo un nuovo cammino verso la Pasqua di Risurrezione: il cammino della Quaresima. Vorrei soffermarmi brevemente a riflettere sul segno liturgico della cenere, un segno materiale, un elemento della natura, che diventa nella Liturgia un simbolo sacro, molto importante in questa giornata che dà inizio all’itinerario quaresimale. Anticamente, nella cultura ebraica, l’uso di cospargersi il capo di cenere come segno di penitenza era comune, abbinato spesso al vestirsi di sacco o di stracci. Per noi cristiani, invece, vi è quest’unico momento, che ha peraltro una notevole rilevanza rituale e spirituale.
Anzitutto, la cenere è uno di quei segni materiali che portano il cosmo all’interno della Liturgia. I principali sono evidentemente quelli dei Sacramenti: l’acqua, l’olio, il pane e il vino, che diventano vera e propria materia sacramentale, strumento attraverso cui si comunica la grazia di Cristo che giunge fino a noi. Nel caso della cenere si tratta invece di un segno non sacramentale, ma pur sempre legato alla preghiera e alla santificazione del Popolo cristiano: è prevista infatti, prima dell’imposizione individuale sul capo, una specifica benedizione delle ceneri – che faremo tra poco -, con due possibili formule. Nella prima esse sono definite «austero simbolo»; nella seconda si invoca direttamente su di esse la benedizione e si fa riferimento al testo del Libro della Genesi, che può anche accompagnare il gesto dell’imposizione: «Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai» (cfr Gen 3,19).
Fermiamoci un momento su questo passo della Genesi. Esso conclude il giudizio pronunciato da Dio dopo il peccato originale: Dio maledice il serpente, che ha fatto cadere nel peccato l’uomo e la donna; poi punisce la donna annunciandole i dolori del parto e una relazione sbilanciata con il marito; infine punisce l’uomo, gli annuncia la fatica nel lavorare e maledice il suolo. «Maledetto il suolo per causa tua!» (Gen 3,17), a causa del tuo peccato. Dunque, l’uomo e la donna non sono maledetti direttamente come lo è invece il serpente, ma, a causa del peccato di Adamo, è maledetto il suolo, da cui egli era stato tratto. Rileggiamo il magnifico racconto della creazione dell’uomo dalla terra: «Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato» (Gen 2,7-8); così nel Libro della Genesi.
Ecco dunque che il segno della cenere ci riporta al grande affresco della creazione, in cui si dice che l’essere umano è una singolare unità di materia e di soffio divino, attraverso l’immagine della polvere del suolo plasmata da Dio e animata dal suo respiro insufflato nelle narici della nuova creatura. Possiamo osservare come nel racconto della Genesi il simbolo della polvere subisca una trasformazione negativa a causa del peccato. Mentre prima della caduta il suolo è una potenzialità totalmente buona, irrigata da una polla d’acqua (Gen 2,6) e capace, per l’opera di Dio, di germinare «ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare» (Gen 2,9), dopo la caduta e la conseguente maledizione divina esso produrrà «spine e cardi» e solo in cambio di «dolore» e «sudore del volto» concederà all’uomo i suoi frutti (cfr Gen 3,17-18). La polvere della terra non richiama più solo il gesto creatore di Dio, tutto aperto alla vita, ma diventa segno di un inesorabile destino di morte: «Polvere tu sei e in polvere ritornerai» (Gen 3,19).
E’ evidente nel testo biblico che la terra partecipa della sorte dell’uomo. Dice in proposito san Giovanni Crisostomo in una sua omelia: «Vedi come dopo la sua disobbedienza tutto viene imposto su di lui [l’uomo] in un modo contrario al suo precedente stile di vita» (Omelie sulla Genesi 17, 9:PG 53, 146). Questa maledizione del suolo ha una funzione medicinale per l’uomo, che dalle «resistenze» della terra dovrebbe essere aiutato a mantenersi nei suoi limiti e riconoscere la propria natura (cfr ibid.). Così, con una bella sintesi, si esprime un altro antico commento, che dice: «Adamo fu creato puro da Dio per il suo servizio. Tutte le creature gli furono concesse per servirlo. Egli era destinato ad essere il signore e re di tutte le creature. Ma quando il male giunse a lui e conversò con lui, egli lo ricevette per mezzo di un ascolto esterno. Poi penetrò nel suo cuore e si impadronì del suo intero essere. Quando così fu catturato, la creazione, che lo aveva assistito e servito, fu catturata con lui» (Pseudo-Macario, Omelie 11, 5: PG 34, 547).
Dicevamo poco fa, citando san Giovanni Crisostomo, che la maledizione del suolo ha una funzione «medicinale». Ciò significa che l’intenzione di Dio, che è sempre benefica, è più profonda della maledizione. Questa, infatti, è dovuta non a Dio ma al peccato, però Dio non può non infliggerla, perché rispetta la libertà dell’uomo e le sue conseguenze, anche negative. Dunque, all’interno della punizione, e anche all’interno della maledizione del suolo, permane una intenzione buona che viene da Dio. Quando Egli dice all’uomo: «Polvere tu sei e in polvere ritornerai!», insieme con la giusta punizione intende anche annunciare una via di salvezza, che passerà proprio attraverso la terra, attraverso quella «polvere», quella «carne» che sarà assunta dal Verbo. E’ in questa prospettiva salvifica che la parola della Genesi viene ripresa dalla Liturgia del Mercoledì delle Ceneri: come invito alla penitenza, all’umiltà, ad avere presente la propria condizione mortale, ma non per finire nella disperazione, bensì per accogliere, proprio in questa nostra mortalità, l’impensabile vicinanza di Dio, che, oltre la morte, apre il passaggio alla risurrezione, al paradiso finalmente ritrovato. In questo senso ci orienta un testo di Origene, che dice: «Ciò che inizialmente era carne, dalla terra, un uomo di polvere (cfr 1 Cor 15,47), e fu dissolto attraverso la morte e di nuovo reso polvere e cenere – infatti è scritto: sei polvere, e nella polvere ritornerai – viene fatto risorgere di nuovo dalla terra. In seguito, secondo i meriti dell’anima che abita il corpo, la persona avanza verso la gloria di un corpo spirituale» (Sui Princìpi 3, 6, 5: Sch, 268, 248).
I «meriti dell’anima», di cui parla Origene, sono necessari; ma fondamentali sono i meriti di Cristo, l’efficacia del suo Mistero pasquale. San Paolo ce ne ha offerto una formulazione sintetica nella Seconda Lettera ai Corinzi, oggi seconda Lettura: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2 Cor 5,21). La possibilità per noi del perdono divino dipende essenzialmente dal fatto che Dio stesso, nella persona del suo Figlio, ha voluto condividere la nostra condizione, ma non la corruzione del peccato. E il Padre lo ha risuscitato con la potenza del suo Santo Spirito e Gesù, il nuovo Adamo, è diventato, come dice san Paolo, «spirito datore di vita» (1 Cor 15,45), la primizia della nuova creazione. Lo stesso Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti può trasformare i nostri cuori da cuori di pietra in cuori di carne (cfr Ez 36,26). Lo abbiamo invocato poco fa con il Salmo Miserere: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, / rinnova in me uno spirito saldo. / Non scacciarmi dalla tua presenza / e non privarmi del tuo santo spirito» (Sal 50,12-13). Quel Dio che scacciò i progenitori dall’Eden, ha mandato il proprio Figlio nella nostra terra devastata dal peccato, non lo ha risparmiato, affinché noi, figli prodighi, possiamo ritornare, pentiti e redenti dalla sua misericordia, nella nostra vera patria. Così sia, per ciascuno di noi, per tutti i credenti, per ogni uomo che umilmente si riconosce bisognoso di salvezza. Amen.    
© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana 

Catechesi sulla Quaresima


BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VIMercoledì, 22 febbraio 2012




Mercoledì delle Ceneri

Cari fratelli e sorelle,
in questa Catechesi vorrei soffermarmi brevemente sul tempo della Quaresima, che inizia oggi con la Liturgia del Mercoledì delle Ceneri. Si tratta di un itinerario di quaranta giorni che ci condurrà al Triduo pasquale, memoria della passione, morte e risurrezione del Signore, il cuore del mistero della nostra salvezza. Nei primi secoli di vita della Chiesa questo era il tempo in cui coloro che avevano udito e accolto l’annuncio di Cristo iniziavano, passo dopo passo, il loro cammino di fede e di conversione per giungere a ricevere il sacramento del Battesimo. Si trattava di un avvicinamento al Dio vivo e di una iniziazione alla fede da compiersi gradualmente, mediante un cambiamento interiore da parte dei catecumeni, cioè di quanti desideravano diventare cristiani ed essere incorporati a Cristo e alla Chiesa.
Successivamente, anche i penitenti e poi tutti i fedeli furono invitati a vivere questo itinerario di rinnovamento spirituale, per conformare sempre più la propria esistenza a quella di Cristo. La partecipazione dell’intera comunità ai diversi passaggi del percorso quaresimale sottolinea una dimensione importante della spiritualità cristiana: è la redenzione non di alcuni, ma di tutti, ad essere disponibile grazie alla morte e risurrezione di Cristo. Pertanto, sia coloro che percorrevano un cammino di fede come catecumeni per ricevere il Battesimo, sia coloro che si erano allontanati da Dio e dalla comunità della fede e cercavano la riconciliazione, sia coloro che vivevano la fede in piena comunione con la Chiesa, tutti insieme sapevano che il tempo che precede la Pasqua è un tempo di metanoia, cioè del cambiamento interiore, del pentimento; il tempo che identifica la nostra vita umana e tutta la nostra storia come un processo di conversione che si mette in movimento ora per incontrare il Signore alla fine dei tempi.
Con una espressione diventata tipica nella Liturgia, la Chiesa denomina il periodo nel quale siamo entrati oggi «Quadragesima», cioè tempo di quaranta giorni e, con un chiaro riferimento alla Sacra Scrittura ci introduce così in un preciso contesto spirituale. Quaranta è infatti il numero simbolico con cui l’Antico e il Nuovo Testamento rappresentano i momenti salienti dell’esperienza della fede del Popolo di Dio. E’ una cifra che esprime il tempo dell’attesa, della purificazione, del ritorno al Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle sue promesse. Questo numero non rappresenta un tempo cronologico esatto, scandito dalla somma dei giorni. Indica piuttosto una paziente perseveranza, una lunga prova, un periodo sufficiente per vedere le opere di Dio, un tempo entro cui occorre decidersi ad assumere le proprie responsabilità senza ulteriori rimandi. E’ il tempo delle decisioni mature.
Il numero quaranta appare anzitutto nella storia di Noè.
Quest’uomo giusto, a causa del diluvio trascorre quaranta giorni e quaranta notti nell’arca, insieme alla sua famiglia e agli animali che Dio gli aveva detto di portare con sé. E attende altri quaranta giorni, dopo il diluvio, prima di toccare la terraferma, salvata dalla distruzione (cfr Gen 7,4.12; 8,6). Poi, la prossima tappa: Mosè rimane sul monte Sinai, alla presenza del Signore, quaranta giorni e quaranta notti, per accogliere la Legge. In tutto questo tempo digiuna (cfr Es 24,18). Quaranta sono gli anni di viaggio del popolo ebraico dall’Egitto alla Terra promessa, tempo adatto per sperimentare la fedeltà di Dio. «Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni… Il tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni», dice Mosè nel Deuteronomio alla fine di questi quarant'anni di migrazione (Dt 8,2.4). Gli anni di pace di cui gode Israele sotto i Giudici sono quaranta (cfr Gdc3,11.30), ma, trascorso questo tempo, inizia la dimenticanza dei doni di Dio e il ritorno al peccato. Il profeta Elia impiega quaranta giorni per raggiungere l’Oreb, il monte dove incontra Dio (cfr 1 Re19,8). Quaranta sono i giorni durante i quali i cittadini di Ninive fanno penitenza per ottenere il perdono di Dio (cfr Gn 3,4). Quaranta sono anche gli anni dei regni di Saul (cfr At 13,21), di Davide (cfr 2 Sam 5,4-5) e di Salomone (cfr 1 Re 11,41), i tre primi re d’Israele. Anche i Salmi riflettono sul significato biblico dei quaranta anni, come ad esempio il Salmo 95, del quale abbiamo sentito un brano: «Se ascoltaste oggi la sua voce! “Non indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere. Per quarant'anni mi disgustò quella generazione e dissi: sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie”» (vv. 7c-10).
Nel Nuovo Testamento Gesù, prima di iniziare la vita pubblica, si ritira nel deserto per quaranta giorni, senza mangiare né bere (cfr Mt 4,2): si nutre della Parola di Dio, che usa come arma per vincere il diavolo. Le tentazioni di Gesù richiamano quelle che il popolo ebraico affrontò nel deserto, ma che non seppe vincere. Quaranta sono i giorni durante i quali Gesù risorto istruisce i suoi, prima di ascendere al Cielo e inviare lo Spirito Santo (cfr At 1,3).
Con questo ricorrente numero di quaranta è descritto un contesto spirituale che resta attuale e valido, e la Chiesa, proprio mediante i giorni del periodo quaresimale, intende mantenerne il perdurante valore e renderne a noi presente l’efficacia. La liturgia cristiana della Quaresima ha lo scopo di favorire un cammino di rinnovamento spirituale, alla luce di questa lunga esperienza biblica e soprattutto per imparare ad imitare Gesù, che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto insegnò a vincere la tentazione con la Parola di Dio. I quarant’anni della peregrinazione di Israele nel deserto presentano atteggiamenti e situazioni ambivalenti. Da una parte essi sono la stagione del primo amore con Dio e tra Dio e il suo popolo, quando Egli parlava al suo cuore, indicandogli continuamente la strada da percorrere. Dio aveva preso, per così dire, dimora in mezzo a Israele, lo precedeva dentro una nube o una colonna di fuoco, provvedeva ogni giorno al suo nutrimento facendo scendere la manna e facendo sgorgare l’acqua dalla roccia. Pertanto, gli anni trascorsi da Israele nel deserto si possono vedere come il tempo della speciale elezione di Dio e della adesione a Lui da parte del popolo: tempo del primo amore. D’altro canto, la Bibbia mostra anche un’altra immagine della peregrinazione di Israele nel deserto: è anche il tempo delle tentazioni e dei pericoli più grandi, quando Israele mormora contro il suo Dio e vorrebbe tornare al paganesimo e si costruisce i propri idoli, poiché avverte l’esigenza di venerare un Dio più vicino e tangibile. E' anche il tempo della ribellione contro il Dio grande e invisibile.
Questa ambivalenza, tempo della speciale vicinanza di Dio - tempo del primo amore -, e tempo della tentazione – tentazione del ritorno al paganesimo -, la ritroviamo in modo sorprendente nel cammino terreno di Gesù, naturalmente senza alcun compromesso col peccato. Dopo il battesimo di penitenza al Giordano, nel quale assume su di sé il destino del Servo di Dio che rinuncia a se stesso e vive per gli altri e si pone tra i peccatori per prendere su di sé il peccato del mondo, Gesù si reca nel deserto per stare quaranta giorni in profonda unione con il Padre, ripetendo così la storia di Israele, tutti quei ritmi di quaranta giorni o anni a cui ho accennato. Questa dinamica è una costante nella vita terrena di Gesù, che ricerca sempre momenti di solitudine per pregare il Padre suo e rimanere in intima comunione, in intima solitudine con Lui, in esclusiva comunione con Lui, e poi ritornare in mezzo alla gente. Ma in questo tempo di “deserto” e di incontro speciale col Padre, Gesù si trova esposto al pericolo ed è assalito dalla tentazione e dalla seduzione del Maligno, il quale gli propone una via messianica altra, lontana dal progetto di Dio, perché passa attraverso il potere, il successo, il dominio e non attraverso il dono totale sulla Croce. Questa è l'alternativa: un messianesimo di potere, di successo, o un messianesimo di amore, di dono di sé.
Questa situazione di ambivalenza descrive anche la condizione della Chiesa in cammino nel “deserto” del mondo e della storia. In questo “deserto” noi credenti abbiamo certamente l’opportunità di fare una profonda esperienza di Dio che rende forte lo spirito, conferma la fede, nutre la speranza, anima la carità; un’esperienza che ci fa partecipi della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte mediante il Sacrificio d’amore sulla Croce. Ma il “deserto” è anche l’aspetto negativo della realtà che ci circonda: l’aridità, la povertà di parole di vita e di valori, il secolarismo e la cultura materialista, che rinchiudono la persona nell’orizzonte mondano dell’esistere sottraendolo ad ogni riferimento alla trascendenza. E’ questo anche l’ambiente in cui il cielo sopra di noi è oscuro, perché coperto dalle nubi dell’egoismo, dell’incomprensione e dell’inganno. Nonostante questo, anche per la Chiesa di oggi il tempo del deserto può trasformarsi in tempo di grazia, poiché abbiamo la certezza che anche dalla roccia più dura Dio può far scaturire l’acqua viva che disseta e ristora.
Cari fratelli e sorelle, in questi quaranta giorni che ci condurranno alla Pasqua di Risurrezione possiamo ritrovare nuovo coraggio per accettare con pazienza e con fede ogni situazione di difficoltà, di afflizione e di prova, nella consapevolezza che dalle tenebre il Signore farà sorgere il giorno nuovo. E se saremo stati fedeli a Gesù seguendolo sulla via della Croce, il chiaro mondo di Dio, il mondo della luce, della verità e della gioia ci sarà come ridonato: sarà l’alba nuova creata da Dio stesso. Buon cammino di Quaresima a voi tutti!

Memento homo !



Nel giorno in cui, un po’ in tutte le chiese del mondo, risuoneranno, nelle varie lingue le parole “MEMENTO HOMO QUIA PULVIS ES ET IN PULVEREM REVERTERIS ” (ricordati uomo che polvere sei e in polvere ritornerai) , mi piace proporvi, oltre al brano delle Genesi che narra la creazione dell’uomo dal fango, il mito greco di Cura, molto simile.
Genesi 2, 7-8
Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente. 
Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. 

Mito di Cura
Il mito narra che, agli albori del mondo, la Dea Cura, mentre passeggiava pensierosa per lande ancora disabitate, arrivata sulla riva di un fiume, vide che i suoi piedi lasciavano un’impronta sull’argilla.             Pensò allora di dare una forma a quella argilla. Cura aveva delle mani d'oro, e le figure le vennero proprio bene, per cui volle fare qualcosa per le sue creature: così si rivolse a Giove, padre di tutti gli dei, perché vi infondesse lo spirito. Giove accondiscese volentieri alla preghiera di Cura, che tante volte l'aveva assistito e massaggiato con preziosi unguenti quando era stanco, era stata ad ascoltarlo quando era preoccupato e gli aveva dato saggi consigli sulla conduzione dell'universo.

Subito dopo però Giove e Cura cominciarono a discutere animatamente, perché il re dell’olimpo pretendeva, in cambio del suo dono, il diritto di dare un nome alle creature. La discussione fu udita dalla
Dea Terra, che a sua volta iniziò ad arrogare a sé quel diritto, in quanto lei aveva fornito la materia di cui erano composte le creature. Intervenne anche il dio Tempo che, pretendendo di ergersi a giudice, voleva imporre dei limiti temporali. Tutti alzarono la voce e cominciarono a gridare e a minacciare di distruggere le creature di Cura, piuttosto di lasciarle agli altri.

Cura aveva ormai concepito un grande amore per le sue creature per cui, pur di salvarle, accettò che venisse chiamato a giudice Saturno,per dirimere la contesa. Questi, dopo lunga meditazione, così sentenziò: "Tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito. Tu, Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Tu Cura ,che per prima hai creato e fatto vivere il corpo, lo “possiederai” finché vivrà (Cura enim quia prima fixit, teneat quamdiu vixerit) e si chiamerà Homo perché è stato tratto dall’ humus cioè dalla Terra”.

Come si può notare i due racconti sono, nella sostanza, molto simili, il corpo viene tratto dalla terra; homo (uomo) perché tratto dall’humus (terra), ciò ci fa riflettere sulla nostra condizione di miseri peccatori, creature impotenti, fragili, che passano sulla terra come un soffio.
Il soffio vitale ci fa riflettere sull’atto della nostra creazione, non siamo prodotto di un mero e casuale processo biologico, siamo stati creati da un libero atto di volontà; Dio ci ha creati per amore; a Lui dobbiamo anelare, a raggiungerlo nella Celeste Gerusalemme, di Lui abbiamo bisogno più dell’aria che respiriamo.
Il prendersi cura dell’uomo, da parte della dea cura, ci fa riflettere sulla necessità di prenderci cura l’uno dell’altro, come ha voluto ben evidenziare il Santo Padre nel messaggio per la Quaresima di quest’anno.
Iniziamo la Quaresima in spirito di umiltà e compunzione di cuore, per salire la Santa Montagna della Pasqua e rinnovare la gioia pasquale di quel Cristo che ha vinto la morte e non muore più, sul quale la morte non ha più potere su di lui (Rm 6,3-11).
A tutti auguro un buon inizio di Quaresima.

mercoledì 22 febbraio 2012

Audi benigne conditor


Vi posto la mia esecuzione del bellissimo inno AUDI BENIGNE CONDITOR, inno che si canta ai Vespri del tempo di Quaresima, può essere usato, come viene fatto nella liturgia papale, come canto iniziale delle stazioni romane. L'inno è attribuito a papa Gregorio Magno. Nei prossimi giorni vi fornirò il video con il canto in traduzione italiana.

http://www.youtube.com/watch?v=N0H3UapZwmk&context=C38d3d1fADOEgsToPDskJ-iWPBApWWBkDlPDKw3CFD

Il digiuno secondo le disposizioni della Conferenza Episcopale Italiana


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   1)    La legge del digiuno «obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po' di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità e la qualità, alle consuetudini locali approvate».

2) La legge dell’astinenza proibisce l’uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi.

3) Il digiuno e l’astinenza, nel senso sopra precisato, devono essere osservati il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo; sono consigliati il Sabato Santo sino alla Veglia pasquale .

4) L’astinenza deve essere osservata in tutti e singoli i venerdì di Quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità (come il 19 o il 25 marzo).
In tutti gli altri venerdì dell’anno, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità, si deve osservare l’astinenza nel senso detto oppure si deve compiere qualche altra opera di penitenza, di preghiera, di carità.

5) Alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al 60° anno iniziato; alla legge dell’astinenza coloro che hanno compiuto il 14° anno di età.

6) Dall’osservanza dell’obbligo della legge del digiuno e dell’astinenza può scusare una ragione giusta, come ad esempio la salute. Inoltre, «il parroco, per una giusta causa e conforme alle disposizioni del Vescovo diocesano, può concedere la dispensa dall’obbligo di osservare il giorno (…) di penitenza, oppure commutarlo in altre opere pie; lo stesso può anche il Superiore di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, se sono clericali di diritto pontificio, relativamente ai propri sudditi e agli altri che vivono giorno e notte nella loro casa».

(Dalla Nota dell’Episcopato italiano,  IL SENSO CRISTIANO DEL DIGIUNO E DELL’ASTINENZA,4 febbraio 1994).

martedì 21 febbraio 2012

Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

Ecco un po' di video per la liturgia di domani; la colletta del Mercoledì delle Ceneri:




O Dio, nostro Padre, concedi, al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male. Per il nostro Signore.




I testi delle due benedizioni delle Sacre Ceneri, da scegliere ad libitum:
O Dio, che hai pietà di chi si pente e doni la tua pace a chi si converte, accogli con paterna bontà la preghiera del tuo popolo e benedici questi tuoi figli, che riceveranno l'austero simbolo delle ceneri, perché, attraverso l'itinerario spirituale della Quaresima, giungano completamente rinnovati a celebrare la Pasqua del tuo Figlio, il Cristo nostro Signore. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. 





O Dio, che non vuoi la morte ma la conversione dei peccatori, ascolta benigno la nostra preghiera: benedici + queste ceneri, che stiamo per imporre al nostro capo, riconoscendo che il prezioso corpo tornerà in polvere; l'esercizio della penitenza quaresimale ci ottenga il perdono dei peccati e una vita rinnovata a immagine del Signore risorto. Egli vive e regna nei secoli dei secoli.  

E la cantillazione del Vangelo:


Dal vangelo secondo Matteo  Mt 6,1-6.16-18

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». 
 



Buona Quaresima !