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venerdì 29 giugno 2012

Pietro e Paolo, una solennità all'insegna dell'ecumenismo.


Questa mattina il Santo Padre ha celebrato la Messa del Giorno della solennità dei Santi Pietro e Paolo, una celebrazione all'insegna dell'ecumenismo, sia per la presenza, ormai consueta, di un delegato del Patriarcato di Costantinopoli (il papa, viceversa, invia a Costantinopoli un delegato per la festa di Sant'Andrea), sia per la presenza del coro dell'abbazia di Westminster, è la prima volta, dopo 500 anni, che la Cappella Sistina si unisce ad un altro coro. I due cori, uniti, hanno eseguito brani della Missa de Angelis, alternati ad altri brani del Proprio della Messa e brani polifonici di Palestrina e Perosi, oltre ad alcuni brani della tradizione inglese.
Il Pontefice, all'inizio della celebrazione, ha benedetto e imposto il pallio agli arcivescovi metropoliti, in segno di unione con il successore di Pietro. Al termine della celebrazione il papa si è soffermato a pregare presso la Confessione di san Pietro, parata a festa con fiori, candele, statue e monili.

Giubila la Chiesa di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela

Photo: Ordinazione sacerdotale

La Chiesa particolare di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela gioisce per l'ordinazione di quattro suoi nuovi presbiteri: Alessandro De Gregorio, Lino Grillo, Letterio Maiorana e Carmelo Russo.
Il solenne rito di ordinazione si è svolto nella Basilica Cattedrale di Messina, con ingente concorso di popolo, alla vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo dei quali si è celebrata la Messa Vespertina nella vigilia, desumendone letture ed eucologia. Ha presieduto il rito l'Arcivescovo Mons. Calogero La Piana che durante l'omelia si è soffermato sull'importanza del sacerdozio e della fraternità sacerdotale. Dopo il solenne canto delle litanie dei santi, durante il quali gli eletti si sono prostrati, l'Arcivescovo e tutti i presbiteri presenti, hanno imposto loro le mani, per trasmettere il dono dello Spirito Santo; è seguita la solenne Preghiera di Ordinazione, poi i riti esplicativi: la vestizione con la stola presbiterale e la casula, l'unzione dei palmi delle mani col Sacro Crisma, la consegna delle oblate (il pane e il vino per la celebrazione eucaristica), quindi l'abbraccio di pace con l'Arcivescovo e con tutti i confratelli presbiteri per significare l'ammissione nel novero del presbiterio. E poi seguita la liturgia eucaristica alla quale, per la prima volta, hanno concelebrato i neo-sacerdoti che hanno poi distribuito la comunione. Prima della benedizione don Alessandro, a nome di tutti i neo-sacerdoti, ha rivolto un indirizzo di ringraziamento all'Arcivescovo, alle loro famiglie che li hanno sosteuti con ingenti sacrifici, al Vescovo emerito Giovanni Marra che li ha ammessi nella comunità del seminario diocesano, agli educatori che hanno curato la loro formazione culturale. Dopo la benedizione finale e le foto di rito, i nuovi sacerdoti sono stati presi d'assalto da parenti, amici e conoscenti che hanno porto i loro auguri e baciato le loro mani consacrate. Molto bella l'immagine scelta come ricordo dell'ordinazione che sono state distribuite agli astanti, raffiguranti l'immagine del Buon Pastore.

A questi nostri figli prediletti della nostra amata Arcidiocesi auguriamo un lungo e operoso ministero, rinnovando la preghiera al Signore perchè mandi tanti santi operai nella sua messe.

giovedì 28 giugno 2012

Accipite pallium de Confessione beati Petri sumptum


Domani 29 giugno, solennità dei Santi Pietro e Paolo, il Santo Padre Benedetto XVI benedirà e imporrà il pallio ai nuovi  arcivescovi metropoliti. La particolarità della celebrazione di quest'anno sarà la consegna anticipata a prima dell' inizio della Santa Messa, accorgimento attuato per non conferire al gesto un significato sacramentale (in una più profonda rispondenza al Caeremoniale Episcoporum), non allungare troppo il rito (gli arcivescovi di quest'anno saranno 46), non sospendere la celebrazione eucaristica.


Ecco un po' di storia dell'insegna che rappresenta la pecora caricata sulle spalle del buon pastore:



Le prime notizie storiche sul pallio emergono dall’antichità cristiana. Il Liber pontificalis nota che Papa San Marco († 336) conferì il pallio al vescovo suburbicario di Ostia, uno dei consacratori del Romano Pontefice. Anche se non possiamo essere sicuri del valore storico di questa informazione, per lo meno riflette la prassi del V o VI secolo, quando il Liber pontificalis fu compilato nell’ambito della Curia Romana.

Nel 513 Papa Simmaco concesse il privilegio del pallio a S. Cesario d’Arles e in seguito si moltiplicarono le concessioni del pallio, fatte dai Pontefici a vescovi d’Italia e fuori d’Italia. Nelle altre chiese d’Occidente non si evidenziava l’insegno del pallio, se non era stato concesso ai vescovi dal Romano Pontefice.

Il pallio è il simbolo di un legame speciale con il Papa ed esprime inoltre la potestà che, in comunione con la Chiesa di Roma, il metropolita acquista di diritto nella propria giurisdizione. Secondo il diritto canonico (CIC can. 437), un metropolita deve chiedere il pallio entro tre mesi dalla sua nomina ed è autorizzato ad indossarlo solo nel territorio della propria diocesi e nelle altre diocesi della sua provincia ecclesiastica.

L’omoforio, come paramento liturgico usato dai vescovi ortodossi e dai vescovi cattolici orientali di rito bizantino, consiste di una fascia di stoffa larga, incurvata al centro così da poterla far girare dietro il collo e appoggiarla alle spalle facendo scendere le estremità sul petto. Nella tradizione orientale, il “grande omoforio” (da distinguere dalla forma più piccola, che è portata dai vescovi in certe occasioni e assomiglia l’epitrachelion che corrisponde alla stola occidentale) ha subito un certo sviluppo e oggi è più largo e adornato nella forma. A differenza del pallio, l’omoforio non è riservato agli arcivescovi metropoliti, ma può essere indossato da tutti i vescovi.

Uno dei gesti più significativi è il prelievo dei sacri palli dalla Confessione di Pietro, luogo nel quale sono stati posti un po' di tempo prima perchè vengano santificati dal contatto col luogo del martirio del I papa. I sacri palli vengono prelevati dal alcuni diaconi e portati al cospetto del Pontefice perchè li benedica e li imponga ai metropoliti.


Nella basilica vaticana è tradizione, in questa occasione, rivestire la statua di san Pietro con un piviale e porvi sul capo il triregno.



Una particolarità di questa occasione è il canto finale dell'Oremus pro pontifice, una preghiera corale a Dio perchè preservi il papa dai pericoli materiali e spirituali, lo guidi e gli dia lunghi giorni.

martedì 26 giugno 2012

Il papa visita i terremotati

Il Santo Padre, questa mattina, è in visita nell'Emilia, nei luoghi colpiti dal sisma, per recare sollievo, speranza, conforto.




Il Pontefice ha richiesto minori misure di sicurezza per potersi avvicinare di più alla gente, infatti sta stringendo tante mani, ricevendo tante lettere, ascoltando tante storie, come quella del sacerdote Ivan Martini, morto nella sua chiesa parrocchiale, mentre cercava di salvare una statua della Madonna.





Il papa, nel suo discorso, ha condiviso una sua sensazione, avuta pregando la Liturgia delle ore, quando, dopo il sisma, ha letto il salmo 46:


Dio è per noi rifugio e fortezza,
aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce.


3 Perciò non temiamo se trema la terra,
se vacillano i monti nel fondo del mare.


Di fronte al tremore della terra e della paura-ha detto il papa- noi abbiamo una roccia salda: Cristo Crocifisso e Risorto.


giovedì 21 giugno 2012

L'inno che diede il nome alle note musicali




L’inno dei I e  dei II Vespri della solennità della natività di san Giovanni Battista-Ut queant laxis- fu composto  dal monaco storico e poeta Paolo Diacono (Cividale del Friuli, 720 Montecassino, 799) in strofe saffiche.
Il monaco Guido d’Arezzo ne utilizzò la I strofa per trarne i nomi delle note dell’esacordo: ut (attuale do), re, mi fa sol ,la.

Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Johannes.

Potete notare l’operazione svolta dal monaco nell’immagine di sopra, ove le iniziali dei vari versi che danno il nome alle note sono colorate di rosso. A ciascuna sillaba qui evidenziata corrisponde infatti, nella musica dell'inno, la relativa nota con cui è cantata.
Il nome della nota Si non si deve a Guido D'Arezzo, ma fu aggiunto solo nel XVI secolo: infatti il canto gregoriano, e la musica medievale in genere, non prevedevano l'uso della sensibile, cioè del settimo grado della scala.

Il nome della settima nota, tuttavia, fu desunto dal medesimo inno: dal Sancte Johannes.

Ecco il testo  dell’inno:

Ed ecco la traduzione:
Perché i fedeli sulla lenta lira possano cantare la tue grandi gesta, sciogli la colpa dell'impuro labbro, o San Giovanni.

Un angelo disceso dall'alto Olimpo rivela al padre la tua grande nascita, ed il nome e, per ordine, le gesta della tua vita.

Egli dubbioso della promessa divina, perdette l'uso della pronta favella, ma tu nascendo gli ridonasti l'organo della perduta voce.

Nascosto ancora nel seno della madre, sentisti il Re che giaceva nel talamo; ed ecco ambo le madri, per merito del figlio, schiudono il pondo ascoso.

Te i cittadini del cielo con lodi celebrino, Dio uno e trino, supplici anche noi ti chiediamo perdono: abbi pietà dei redenti.

Traduzione tratta da: 
http://www.cantualeantonianum.com 

Ed ecco un video con una esecuzione del maestro Giovanni Vianini:



venerdì 15 giugno 2012

Solennità del Sacro cuore di Gesù


Oggi la Chiesa celebra la solennità del Sacro Cuore di Gesù; l'Enchiridion indulgentiarum annota che oggi è possibile lucrare l'indulgenza plenaria, alle solite condizioni (confessione, comunione, preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice), recitando, pubblicamente, il seguente atto di riparazione, composto da papa Pio IX:


Gesù dolcissimo, il cui immenso amore per gli uomini viene con tanta ingratitudine ripagato di oblio, di trascuratezza, di disprezzo, ecco che noi, prostrati innanzi a te, intendiamo riparare con particolari attestazioni di onore una così indegna freddezza e le ingiurie con le quali da ogni parte viene ferito dagli uomini l'amantissimo tuo Cuore. Memori però che noi pure altre volte ci macchiammo di tanta indegnità, e provandone vivissimo dolore, imploriamo anzitutto per noi la tua misericordia, pronti a riparare con volontaria espiazione, non solo i peccati commessi da noi, ma anche quelli di coloro che, errando lontano dalla via della salute, ricusano di seguire te come pastore e guida, ostinandosi nella loro infedeltà, o calpestando le promesse del battesimo, hanno scosso il soavissimo giogo della tua legge. E mentre intendiamo espiare tutto il cumulo di sì deplorevoli delitti, ci proponiamo di ripararli ciascuno in particolare: l'immodestia e le brutture della vita e dell'abbigliamento, le tante insidie tese dalla corruttela alle anime innocenti, la profanazione dei giorni festivi, le ingiurie esecrande scagliate contro te e i tuoi santi, gli insulti lanciati contro il tuo Vicario e l'ordine sacerdotale, le negligenze e gli orribili sacrilegi onde è profanato lo stesso sacramento dell'amore divino, e infine le colpe pubbliche delle nazioni che osteggiano i diritti e il magistero della Chiesa da te fondata. Ed oh potessimo noi lavare col nostro sangue questi affronti! Intanto come riparazione dell'onore divino conculcato, noi ti presentiamo, accompagnandola con le espiazioni della Vergine tua madre, di tutti i santi e delle anime pie, quella soddisfazione che tu stesso un giorno offristi sulla croce al Padre e che ogni giorno rinnovi sugli altari, promettendo con tutto il cuore di voler riparare, per quanto sarà in noi e con l'aiuto della tua grazia, i peccati commessi da noi e dagli altri e l'indifferenza verso sì grande amore con la fermezza della fede, l'innocenza della vita, l'osservanza perfetta della legge evangelica, specialmente della carità, e di impedire inoltre con tutte le nostre forze le ingiurie contro di te, e di attrarre quanti più potremo alla tua sequela. Accogli, te ne preghiamo, o benignissimo Gesù, per l'intercessione della beata Vergine Maria riparatrice, questo volontario ossequio di riparazione, e conservaci fedelissimi nella tua obbedienza e nel tuo servizio fino alla morte con il gran dono della perseveranza, mediante il quale possiamo tutti un giorno pervenire a quella patria, dove tu col Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni Dio per tutti i secoli dei secoli. Amen. 

mercoledì 13 giugno 2012

Si quaeris


Si tratta di un responsorio molto popolare in onore dei san'Antonio, una delle preghiere più note e recitate al mondo, specialmente per invocare il ritrovamento degli oggetti smarriti (resque perditas).
Il Sequeri, come viene chiamato popolarmente, fu composto dal beato Giuliano da Spira (1237).

Ecco il testo originale latino e la traduzione in italiano.

Si quaeris miracula, Mors, error calamitas, Daemon, lepra fugiunt, Aegri surgunt sani.
R: Cedunt mare, vincula: Membra resque, perditas Petunt et accipiunt Iuvenes et cani.Pereunt pericula, Cessat et necessitas: Narrent hi, qui sentiunt, Dicant Paduani.
R: Cedunt mare, vincula: Membra resque, perditas Petunt et accipiunt Iuvenes et cani.Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto.
R: Cedunt mare, vincula: Membra resque, perditas Petunt et accipiunt Iuvenes et cani.
Se cerchi i miracoli, ecco messi in fuga la morte, l’errore, le calamità e il demonio; ecco gli ammalati divenir sani.
Il mare si calma, le catene si spezzano; i giovani e i vecchi chiedono e ritrovano la sanità e le cose perdute
S’allontanano i pericoli, scompaiono le necessità: lo attesti chi ha sperimentato la protezione del Santo di Padova.
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.


Ed ecco lo spartito e una esecuzione di un sacerdote francescano. 
[si_quaeris.jpg]


 Auguri a tutti coloro che portano il nome di Antonio.

sabato 9 giugno 2012

Tantum ergo

Vero e proprio leitmotive della solennità del Corpus Domini è l'inno Tantum ergo Sacramentum: si tratta delle ultime due strofe dell'inno Pange lingua, composto da san Tommaso d'Aquino.
Uno degli inni più conosciuti, musicati ed eseguiti; la liturgia lo prevede ogni qual volta si impartisca la benedizione eucaristica, e nella Messa in Cena Domini del Giovedì Santo.

Nella solennità che ci accingiamo a celebrare risuonerà molte volte, è bene, che al termine della Messa, dopo l'orazione dopo la comunione, si esegua l'inno Pange lingua, senza le ultime due strofe, durante il quale il celebrante, inginocchiato, incensi il Santissimo e si dia così avvio alla processione, come riporta il Caeremoniale Episcoporum, per meglio significare la continuità fra la celebrazione eucaristica e la processione eucaristica, così come riporta il Rito per la comunione fuori dalla Messa e culto eucaristico. 


Al termine della processione si canti il Tantum ergo, si impartisca la benedizione eucaristica e si compia la reposizione del Santissimo.

Ecco alcune esecuzioni varie:






















Il miracolo eucaristico di santa Chiara



Uno dei miracoli eucaristici più conosciuti è legato alla figura di santa Chiara d'Assisi, il miracolo è riportato nella Leggenda di Santa Chiara Vergine, di Tommaso da Celano.

Era un venerdì di Settembre e un gruppo di soldati saraceni era penetrato nel chiostro del convento di San Damiano, le suore impaurite erano corse da Chiara per chiederle aiuto. A quel tempo la Santa era malata, ma nonostante tutto si fece accompagnare alla porta, laddove erano i nemici. Era preceduta da una cassetta d’argento racchiusa nell’avorio dentro la quale vi era custodito il S.S. Sacramento, il corpo di Cristo.

Santa Chiara, rivolgendosi al Santissimo, disse:
“Ecco, o mio Signore, vuoi tu forse consegnare nelle mani dei pagani le inermi tue serve, che ho allevato per il tuo amore? Proteggi, ti prego, Signore, queste tue serve, che io ora, da me sola, non posso salvare”.
Subito una voce, come di bimbo, risuonò alle sue orecchie dal Tabernacolo:“Io vi custodirò sempre!”.
Allora la vergine, con il volto bagnato di lacrime, rassicurò le sorelle:
“Vi do garanzia, figlie, che nulla soffrirete di male; soltanto abbiate fede in Cristo!”.
Fu a questo punto che i famigerati nemici presi da grande spavento, abbandonarono in tutta fretta i muri del convento.

venerdì 8 giugno 2012

Corpus Domini, l'omelia di papa Benedetto.


Ecco la bella omelia che il Santo Padre ha pronunciato ieri, nella celebrazione della solennità del Corpus Domini, a Roma. Un'omelia incentrata sull'adorazione da rivolgere al Santissimo Sacramento.


Cari fratelli e sorelle!
Questa sera vorrei meditare con voi su due aspetti, tra loro connessi, del Mistero eucaristico: il culto dell’Eucaristia e la sua sacralità. E’ importante riprenderli in considerazione per preservarli da visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato.
Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento. E’ l’esperienza che anche questa sera noi vivremo dopo la Messa, prima della processione, durante il suo svolgimento e al suo termine. Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II aveva  penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane ovviamente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione giusta posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana.
In realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. E’ proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia. Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore. L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre.
A questo proposito, mi piace sottolineare l’esperienza che vivremo anche stasera insieme. Nel momento dell’adorazione, noi siamo tutti sullo stesso piano, in ginocchio davanti al Sacramento dell’Amore. Il sacerdozio comune e quello ministeriale si trovano accomunati nel culto eucaristico. E’ un’esperienza molto bella e significativa, che abbiamo vissuto diverse volte nella Basilica di San Pietro, e anche nelle indimenticabili veglie con i giovani – ricordo ad esempio quelle di Colonia,LondraZagabriaMadrid. E’ evidente a tutti che questi momenti di veglia eucaristica preparano la celebrazione della Santa Messa, preparano i cuori all’incontro, così che questo risulta anche più fruttuoso. Stare tutti in silenzio prolungato davanti al Signore presente nel suo Sacramento, è una delle esperienze più autentiche del nostro essere Chiesa, che si accompagna in modo complementare con quella di celebrare l’Eucaristia, ascoltando la Parola di Dio, cantando, accostandosi insieme alla mensa del Pane di vita. Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale. E purtroppo, se manca questa dimensione, anche la stessa comunione sacramentale può diventare, da parte nostra, un gesto superficiale. Invece, nella vera comunione, preparata dal colloquio della preghiera e della vita, noi possiamo dire al Signore parole di confidenza, come quelle risuonate poco fa nel Salmo responsoriale: «Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: / tu hai spezzato le mie catene. / A te offrirò un sacrificio di ringraziamento / e invocherò il nome del Signore» (Sal 115,16-17).
Ora vorrei passare brevemente al secondo aspetto: la sacralità dell’Eucaristia. Anche qui abbiamo risentito nel passato recente di un certo fraintendimento del messaggio autentico della Sacra Scrittura. La novità cristiana riguardo al culto è stata influenzata da una certa mentalità secolaristica degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. E’ vero, e rimane sempre valido, che il centro del culto ormai non sta più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso, nella sua persona, nella sua vita, nel suo mistero pasquale. E tuttavia da questa novità fondamentale non si deve concludere che il sacro non esista più, ma che esso ha trovato il suo compimento in Gesù Cristo, Amore divino incarnato. La Lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato questa sera nella seconda Lettura, ci parla proprio della novità del sacerdozio di Cristo, «sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), ma non dice che il sacerdozio sia finito. Cristo «è mediatore di un’alleanza nuova» (Eb 9,15), stabilita nel suo sangue, che purifica «la nostra coscienza dalle opere di morte» (Eb 9,14). Egli non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio (cfr Ap 21,22). Grazie a Cristo, la sacralità è più vera, più intensa, e, come avviene per i comandamenti, anche più esigente! Non basta l’osservanza rituale, ma si richiede la purificazione del cuore e il coinvolgimento della vita.
Mi piace anche sottolineare che il sacro ha una funzione educativa, e la sua scomparsa inevitabilmente impoverisce la cultura, in particolare la formazione delle nuove generazioni. Se, per esempio, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma risulterebbe «appiattito», e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita. Oppure pensiamo a una mamma e a un papà che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli. Dio, nostro Padre, non ha fatto così con l’umanità: ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro. Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso. Con questa fede, cari fratelli e sorelle, noi celebriamo oggi e ogni giorno il Mistero eucaristico e lo adoriamo quale centro della nostra vita e cuore del mondo. Amen.

Il messaggio del Papa per il Campionato europeo di calcio



Città del Vaticano, 8 giugno 2012 (VIS). Benedetto XVI ha fatto pervenire un Messaggio al Vescovo Józef Michalik, Presidente della Conferenza Episcopale Polacca in occasione del
Campionato Europeo di calcio che si terrà in Polonia e Ucraina.
"Quest’evento sportivo - scrive il Papa - coinvolge non solo gli organizzatori, gli atleti e i tifosi, ma – in diversi modi e nei diversi campi della vita – tutta la società. Anche la Chiesa non rimane indifferente a tale evento, in particolare alle necessità spirituali di coloro che ne prendono parte".
Benedetto XVI cita le parole del Beato Giovanni Paolo II, quando affermava che: “Le potenzialità del fenomeno sportivo lo rendono strumento significativo per lo sviluppo globale della persona e fattore quanto mai utile per la costruzione di una società più a misura d'uomo. Il senso di fratellanza, la magnanimità, l'onestà e il rispetto del corpo - virtù indubbiamente indispensabili ad ogni buon atleta - contribuiscono all'edificazione di una società civile dove all'antagonismo si sostituisca l'agonismo, dove allo scontro si preferisca l'incontro ed alla contrapposizione astiosa il confronto leale".
"Lo sport di squadra, poi, qual è il calcio, - scrive ancora Benedetto XVI - è una scuola importante per educare al senso del rispetto dell’altro, anche dell’avversario sportivo, allo spirito di sacrificio personale in vista del bene dell’intero gruppo, alla valorizzazione delle doti di ogni elemento che forma la squadra; in una parola, a superare la logica dell’individualismo e dell’egoismo, che spesso caratterizza i rapporti umani, per lasciare spazio alla logica della fraternità e dell’amore, la sola che può permettere – a tutti i livelli – di promuovere l’autentico bene comune".
Il Papa conclude il Messaggio invitando tutti i partecipanti al Campionato "a operare con sollecitudine, affinché esso sia vissuto come l’espressione delle più nobili virtù e azioni umane, nello spirito di pace e di sincera gioia".

La sequenza del Corpus Domini


Il Lauda Sion è un testo poetico di facile memorizzazione ed esecuzione, un concentrato denso di dottrina che, secondo la tradizione, sarebbe stato composto da san Tommaso d'Aquino sull'esempio della sequenza Laudes Crucis del poeta Adamo di S. Vittore.

Le sequenze, per loro intrinseca natura, sono destinate al canto, se non si potrà cantarle è bene farne una proclamazione chiara e scandita.

La sequenza dell'ormai prossima solennità può essere eseguita nella sua interezza,  Lauda Sion o nella sua forma breve, a partire dalle parole: Ecce panis angelorum.


Ecco il video contenete l'esecuzione, alternativamente, fra la Cappelle Sistina, diretto da Mons. Palombella e il Coro della Diocesi di Roma, diretto da Mons. Frisina.




Ed ecco la forma breve in uno studio del maestro Giovanni Vianini.





Ai link trovate gli spartiti della forma logior:http://www.ccwatershed.org/media/pdfs/12/06/04/16-16-13_0.pdf
 e brevis:http://www.ccwatershed.org/media/pdfs/12/06/04/16-56-15_0.pdf



Ecco il testo latino e la traduzione in italiano.

Lauda, Sion Salvatórem,
lauda ducem et pastórem
in hymnis et cánticis.
Quantum potes, tantum aude:
quia maior omni laude,
nec laudáre súfficis.
Laudis thema speciális,
panis vivus et vitális
hódie propónitur.
Quem in sacræ mensa cenæ,
turbæ fratrum duodénæ
datum non ambígitur.
Sit laus plena, sit sonóra,
sit iucúnda, sit decóra
mentis iubilátio.
Dies enim solémnis ágitur,
in qua mensæ prima recólitur
huius institútio.
In hac mensa novi Regis,
novum Pascha novæ legis
Phase vetus términat.
Vetustátem nóvitas,
umbram fugat véritas,
noctem lux elíminat.
Quod in cena Christus gessit,
faciéndum hoc expréssit
in sui memóriam.
Docti sacris institútis,
panem, vinum, in salútis
consecrámus hóstiam.
Dogma datur Christiánis,
quod in carnem transit panis,
et vinum in sánguinem.
Quod non capis, quod non vides,
animósa firmat fides,
præter rerum órdinem.
Sub divérsis speciébus,
signis tantum, et non rebus,
latent res exímiæ.
Caro cibus, sanguis potus:
manet tamen Christus totus,
sub utráque spécie.
A suménte non concísus,
non confráctus, non divísus:
ínteger accípitur.
Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
nec sumptus consúmitur.
Sumunt boni, sumunt mali:
sorte tamen inæquáli,
vitæ vel intéritus.
Mors est malis, vita bonis:
vide paris sumptiónis
quam sit dispar éxitus.
Fracto demum sacraménto,
ne vacílles, sed memento,
tantum esse sub fragménto,
quantum toto tégitur.
Nulla rei fit scissúra:
signi tantum fit fractúra:
qua nec status nec statúra
signáti minúitur.
Ecce panis Angelórum,
factus cibus viatórum:
vere panis fíliórum,
non mitténdus cánibus.
In figúris præsignátur,
cum Isaac immolátur:
agnus paschæ deputátur:
datur manna pátribus.
Bone Pastor, panis vere,
Iesu, nostri miserére:
tu nos pasce, nos tuére:
tu nos bona fac vidére
in terra vivéntium.
Tu, qui cuncta scis et vales:
qui nos pascis hic mortales:
tuos ibi commensáles,
coherédes et sodales
fac sanctórum cívium. Amen.
Allelúia.








Sion, loda il Salvatore,
la tua guida, il tuo pastore,
con inni e cantici.
Impegna tutto il tuo fervore:
egli supera ogni lode,
non vi è canto che sia degno.
Pane vivo, che dà vita:
questo è tema del tuo canto,
oggetto della lode.
Veramente fu donato
agli apostoli riuniti
in fraterna e sacra cena.
Lode piena e risonante,
gioia nobile e serena
sgorghi oggi dallo spirito.
Questa è la festa solenne
nella quale celebriamo
la prima sacra cena.
È il banchetto del nuovo Re,
nuova Pasqua, nuova legge;
e l'antico è giunto a termine.
Cede al nuovo il rito antico,
la realtà disperde l'ombra:
luce, non più tenebra.
Cristo lascia in sua memoria
ciò che ha fatto nella cena:
noi lo rinnoviamo.
Obbedienti al suo comando,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salvezza.
È certezza a noi cristiani:
si trasforma il pane in carne,
si fa sangue il vino.
Tu non vedi, non comprendi,
ma la fede ti conferma,
oltre la natura.
È un segno ciò che appare:
nasconde nel mistero
realtà sublimi.
Mangi carne, bevi sangue:
ma rimane Cristo intero
in ciascuna specie.
Chi lo mangia non lo spezza,
né separa, né divide:
intatto lo riceve.
Siano uno, siano mille,
ugualmente lo ricevono:
mai è consumato.
Vanno i buoni, vanno gli empi;
ma diversa ne è la sorte:
vita o morte provoca.
Vita ai buoni, morte agli empi:
nella stessa comunione
ben diverso è l'esito!
Quando spezzi il sacramento,
non temere, ma ricorda:
Cristo è tanto in ogni parte,
quanto nell'intero.
È diviso solo il segno,
non si tocca la sostanza;
nulla è diminuito
della sua persona.
Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev'essere gettato.
Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell'agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri.
Buon Pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi;
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo,
nella gioia dei tuoi santi.
Amen.
Alleluia.









Il miracolo eucaristico della mula



Continuiamo la nostra preparazione alla solennità del Corpus Domini con un altro miracolo eucaristico, questa volta ne è protagonista sant'Antonio da Padova, di cui mercoledì ne celebreremo la memoria. Ecco il prodigio tratto da un'agiografia attribuita a Girolamo Tessari:

Nella regione di Tolosa, l’uomo Santo, discusse con veemenza intorno al Sacramento dell’Eucaristia con un eretico incallito quasi fino a convincerlo della verità della fede. Costui, dopo molto disputare, aggiunse: «Ebbene, lasciamo le chiacchere e veniamo ai fatti. Se tu, Antonio, riuscirai a provare con un miracolo, alla presenza di tutti, che lì sia il Corpo di Cristo, io abiurerò ogni eresia e mi sottometterò al giogo della fede.» Il Santo promise con grande fiducia che lo avrebbe fatto e l’eretico riprese: «Io terrò chiuso per tre giorni un mio mulo e gli farò provare i tormenti della fame. Passati i tre giorni, lo tirerò fuori alla presenza della gente ivi riunita e gli mostrerò la biada pronta. Tu intanto starai di fronte all’animale, tenendo in mano ciò che affermi essere il Corpo di Cristo. Se la bestia, sfinita dal digiuno, trascurerà il cibo, affrettandosi verso quel Dio, che secondo te dev’essere adorato da ogni creatura, crederò sinceramente alla fede della chiesa. » Subito il Santo uomo diede il suo assenso...
Il giorno stabilito è presente quell’eretico con assiepata la caterva dei suoi perversi complici e mena fuori il mulo tormentato dalla fame; accanto, viene disposta la biada. Sant’Antonio celebra intanto in una cappella sorgente nei pressi. Terminato il rito della messa, porta al cospetto del popolo il Corpo Santissimo di Cristo e, imponendo il silenzio, dice al mulo: «In virtù ed in nome del tuo Creatore, che io, per quanto indegno, tengo veramente tra le mani, dico e comando a te, o animale, di accostarti immediatamente e umilmente e di prestargli la dovuta venerazione, affinchè i malvagi eretici si persuadano che ogni creatura è soggetta al suo Creatore, che il sacerdote abitualmente tiene tra le mani sull’altare.»
Frattanto l’eretico offre al mulo affamato il cibo. Evento mirabile! L’animale, stremato dal digiuno, dopo aver ascoltato l’invito di sant’Antonio, trascurando il foraggio, subito, inchinando la testa fino ai garretti, piegò le ginocchia davanti al vivifico Sacramento. Gioia dei cattolici, meritata desolazione degli eretici. E quel miscredente, avendo abiurato ogni eresia, secondo la promessa, riabbracciò la fede e prestò obbedienza ai precetti della chiesa.

giovedì 7 giugno 2012

Corpus Domini,origine,storia, significato e accorgimenti rubricali.


Oggi in Vaticano, così come a Gerusalemme, si celebra la solennità del Santissimo Corpo e sangue di Cristo, nella sua allocazione originaria: il giovedì dopo la II settimana dopo Pentecoste; in Italia, nel 1977, la solennità è stata spostata alla Domenica successiva; il Rito Ambrosiano prevede la solennità oggi, con l'opportunità di ricelebrarla Domenica. 

La sua ubicazione originaria al giovedì rinvia al Giovedì Santo, quando Cristo istituì il Mirabile Sacramento dell'Altare. Anche la struttura celebrativa rinvia alla Messa in Cena Domini, il Caeremoniale Episcoporum prevede infatti che, dopo l'orazione dopo la comunione, si proceda in modo analogo alla processione della reposizione: il celebrante sosta in silenziosa adorazione, viene intonato il Pange lingua, si incensa il Santissimo che viene poi prelevato e recato in processione per le vie cittadine, in mezzo alle manifestazioni di fede del popolo santo, alle genuflessioni dei fedeli al passaggio del Santissimo, agli addobbi per il Re dei secoli, ai tappeti floreali, ai ricami delle tovaglie, alla luce dei lumi e all'odore soave dell'incenso che sale a Dio come simbolo della nostra preghiera.

Come nasce questa solennità ?
 Nei primi tempi della  Chiesa non si riteneva necessari festeggiare in modo particolare la Santissima Eucarestia, poichè la sua festa era già la celebrazione quotidiana della Messa. Ma dal 1208, la Beata Giuliana di Cornillon, suora belga presso Liegi, ebbe una visione, vedeva il disco lunare splendente, ma con su un lato una piccola linea scura; la suora capì che la luna rappresentava la Chiesa presente, nella quale mancava ancora una solennità in onore del SS. Sacramento.
La Beata di Liegi riferì ciò alle autorità religiose locali, fra i quali l'arcidiacono della cattedrale di Liegi, Giacomo Pantaleone di Troyes, così la festa fu istituita, a livello locale, dal vescovo di Liegi, Roberto di Thorote che la celebrò personalmente.

Dopo qualche anno, nel 1262, saliva al soglio pontificio Giacomo Pantaleone, l'arcidiacono di Liegi, col nome di Urbano IV che, dopo il miracolo eucaristico di  Bolsena che constatò con i propri occhi, istituì la solennità del Corpus Domini a livello universale, con la bolla Transiturus de hoc mundo, in data 11 agosto 1264. (M. RIGHETTI, Manuale di Storia Liturgica 2. L'anno liturgico, Ed. Ancora, Milano 19693.20052, 329.)

La solennità si diffuse presto in tutto il mondo, rafforzando la fede nella reale presenza del Signore nelle Sacre Specie, facendo fiorire la pietà dei fedeli che accoglievano nelle strade il loro Re celeste con grande pompa.


Ecco quanto afferma il RITO DELLA COMUNIONE FUORI LA MESSA E CULTO EUCARISTICO, a riguardo della processione eucaristica del Corpus Domini, l'unica ad essere liturgica, le altre processioni eucaristiche lungo il corso dell'anno sono invece devozionali. 

La processione del Corpus Domini

102. Tra le processioni eucaristiche, si distingue per importanza e per significato nella vita pastorale della parrocchia o della città quella annuale nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo, o in altro giorno più opportuno in prossimità di questa solennità. Conviene pertanto che là dove le circostanze attuali lo permettono e la processione può essere davvero un segno della fede e dell'adorazione del popolo, essa si conservi, a norma del diritto.
Nel caso però di una grande città, qualora la necessità pastorale lo faccia ritenere opportuno, si possono, a giudizio dell'Ordinario del luogo, organizzare altre processioni nei principali quartieri della città stessa. Là dove, nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo, non è possibile fare la processione, è bene che si svolga un'altra pubblica celebrazione per tutta la città o per i suoi principali quartieri nella chiesa cattedrale o in altri luoghi più opportuni.

La processione dopo la Messa

103. Secondo quanto indicato ai nn. 1-6 a motivo del segno è preferibile che la processione con il santissimo Sacramento si faccia immediatamente dopo la Messa, nella quale viene consacrata l'ostia da portarsi poi in processione. Nulla vieta però che la processione si svolga a coronamento di un'adorazione pubblica e prolungata, fatta dopo la Messa.

Le consuetudini locali

104. Nell'organizzazione delle processioni eucaristiche si tenga conto delle consuetudini locali sia per l'addobbo delle vie e delle piazze, che per la composta sfilata di quanti vi partecipano. Nel corso della processione, se la consuetudine lo comporta e se lo consiglia il bene pastorale, si possono anche fare delle stazioni o soste con la benedizione eucaristica. I canti e le preghiere che si fanno, portino tutti a manifestare la loro fede in Cristo, unicamente intenti alla lode del Signore.

La processione del Corpus Domini fece fiorire, a dismisura, la pietà eucaristica e le forme espressive dell'arte, della musica, dell'architettura, della scultura, dell'oreficeria. Molti gli ostensori fabbricati con le forme più varie, dall'arca argentea del duomo di Genova, alle statue del Risorto con le Sacre specie al posto del cuore, a san Giovanni Battista che indica l'Agnello di Dio.



Nel 1969, il nuovo calendario liturgico aggiunse il termine "e Sangue" a " Corpo di Cristo" per meglio significare quello che era già insito, facendo meglio esprimere la fede nel mistero eucaristico.



Molto bella la tradizione di stendere vessilli, stendardi, coperte e tovaglie finemente ricamate; accendere lumi; preparare un tappeto di fiori nelle vie in cui passerà il Santissimo Sacramento.





Infine ecco una traduzione non ufficiale, ma molto fedele, del Caremoniale Episcoporum, del capitolo riguardante la solennità del Corpus Domini:

PREMESSE

385. Benché dell’istituzione dell’eucaristia si faccia un particolare ricordo
nella messa in cena Domini, quando Cristo Signore cenò coi suoi discepoli e affidò
a loro il sacramento del suo corpo e del suo sangue da celebrarsi nella Chiesa,
tuttavia in questa solennità è proposto alla pietà dei fedeli il culto di un così salvifico sacramento, così che celebrino le opere mirabili di Dio in esso significate e
ottenute per mezzo del mistero pasquale, imparino a partecipare al sacrificio eucaristico e a vivere più intensamente di esso, adorino nello stesso sacramento la
presenza di Cristo Signore e rendano giustamente grazie a Dio per i suoi doni

386. Come particolare celebrazione di questa solennità, la pietà della Chiesa
ha tramandato la processione, con la quale il popolo cristiano, portando solennemente per le vie l’eucaristia con accompagnamento di canti e di preghiere, rende
pubblica testimonianza di fede e di venerazione verso questo sacramento.
Conviene dunque che là dove le circostanze attuali lo permettono e la processione può essere davvero un segno comune di fede e di adorazione, essa si conservi e sia favorita. Anzi nel caso di una grande città, qualora la necessità pastorale lo faccia ritenere opportuno, si possono, a giudizio del vescovo diocesano, organizzare altre processioni nei principali quartieri della città stessa.
Spetta al vescovo diocesano giudicare sia della opportunità nelle circostanze
attuali, sia del luogo e dell’organizzazione di tale processione, in modo che si
svolga con dignità e senza pregiudizio delle riverenza dovuta a questo ss. Sacramento.
Là dove invece in questa solennità non è possibile fare la processione, è bene
che si svolga un’altra pubblica celebrazione per tutta la città o per i suoi principali quartieri nella chiesa cattedrale o in un altro luogo più opportuno


PROCESSIONE EUCARISTICA

387. È preferibile che la processione si faccia immediatamente dopo la messa, nella quale viene consacrata l’ostia da portarsi poi in processione. Nulla vieta
però che la processione si svolga anche a coronamento di una un’adorazione pubblica e prolungata, fatta dopo la messa

388. Oltre a quanto è richiesto per la celebrazione della messa stazionale,
preparino:

a) nel presbiterio:
- sopra la patena l’ostia da consacrarsi per la processione;
- l’ostensorio;
- il velo omerale;
- un secondo turibolo con la navicella;

b) in un luogo opportuno:
- i piviali bianchi o di colore festivo (cf. più sotto al n. 390);
- le torce e le candele;
- (il baldacchino).

389. Terminata la comunione dei fedeli, il diacono colloca sull’altare
l’ostensorio nel quale ripone con riverenza l’ostia consacrata. Quindi il vescovo
con i suoi diaconi genuflette e torna alla cattedra, dove proclama l’orazione dopo
la comunione.

390. Terminata l’orazione, omessi i riti di conclusione, si fa la processione. Il
vescovo la presiede rivestito o di casula, come per la messa, o di piviale di colore
bianco. Se invece la processione non segue immediatamente la messa, indossa il
piviale

Conviene che i canonici e i presbiteri che non concelebrano indossino il piviale sopra la cotta e la veste talare.

391. Dopo aver messo l’incenso nel turibolo e averlo benedetto, il vescovo, in
ginocchio davanti all’altare, incensa il ss. Sacramento.
Riceve poi il velo omerale, sale all’altare, genuflette e, con l’aiuto del diacono, prende l’ostensorio, tenendolo con entrambe le mani coperte dal velo.
Allora si avvia la processione: precede l’accolito con la croce, accompagnato
dagli accoliti che recano i candelabri con i ceri accesi; seguono il clero, i diaconi
che hanno prestato servizio alla messa, i canonici e i presbiteri rivestiti di piviale,
i presbiteri concelebranti, i vescovi per caso presenti, rivestiti di piviale, il ministro che porta il pastorale del vescovo, due turiferari con i turiboli fumiganti, il
vescovo che porta il ss. Sacramento, un poco dietro i due diaconi che lo assistono,
quindi i chierici che prestano servizio per il libro e la mitra. Tutti portano in mano la candela e, attorno al Sacramento, si portano delle torce.
Si usi il baldacchino, sotto il quale proceda il vescovo che porta il Sacramento, secondo le consuetudini locali.
Se il vescovo non può portare il ss. Sacramento, segua la processione rivestito dei paramenti, a capo scoperto, portando il pastorale ma senza benedire, immediatamente davanti al sacerdote che porta il ss. Sacramento.
Invece gli altri vescovi che per caso partecipano alla processione, quando sono rivestiti dell’abito corale, seguono il ss. Sacramento, come è descritto più sotto
al n. 1100.

392. Per quanto riguarda l’ordine dei fedeli, si osservino le consuetudini locali; ugualmente per quanto riguarda l’addobbo delle vie e delle piazze.
Nel corso della processione, se la consuetudine lo comporta e lo consiglia il
bene pastorale, si può fare qualche sosta con la benedizione eucaristica. Tuttavia
i canti e le preghiere che si fanno, portino tutti a manifestare la loro fede in Cristo, unicamente intenti alla lode dei Signore

393. Conviene che la processione si diriga da una ad un’altra chiesa. Tuttavia, se le circostanze lo consigliano, può anche ritornare alla medesima chiesa da
cui era partita

394. Alla fine della processione viene impartita la benedizione con il ss. Sacramento nella chiesa in cui si è giunti o in un altro luogo più opportuno.
I ministri, i diaconi e i presbiteri, entrando in presbiterio, si recano direttamente al loro posto. Dopo che il vescovo è salito all’altare, il diacono riceve sulla
destra l’ostensorio dalla mano dei vescovo che sta in piedi e lo colloca sopra
l’altare. Quindi il vescovo, insieme con il diacono, genuflette e, deposto il velo, si
mette in ginocchio davanti all’altare.
Poi, dopo aver messo nel turibolo l’incenso e averlo benedetto, il vescovo riceve il turibolo dal diacono, fa l’inchino con i diaconi che lo assistono, e incensa
con tre tratti il ss. Sacramento. Dopo aver fatto per una seconda volta l’inchino al
ss. Sacramento, restituisce il turibolo al diacono. Frattanto si canta la strofa Tantum ergo o un altro canto eucaristico.
Quindi il vescovo si alza e dice: Preghiamo. Si fa una breve pausa di silenzio;
quindi il ministro, se è necessario, sorregge il libro davanti al vescovo, mentre lo
stesso vescovo continua dicendo: Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell’Eucaristia o un’altra orazione del “Rituale Romano”.
Terminata l’orazione, il vescovo riceve il velo omerale, sale all’altare, genuflette e, aiutato dal diacono, prende l’ostensorio, tenendolo alzato con entrambe le
mani coperte dal velo, si volta verso il popolo e traccia con l’ostensorio un segno di
croce senza dire nulla.
Dopo di che, il diacono riceve l’ostensorio dalle mani del vescovo e lo colloca
sopra l’altare. Il vescovo e il diacono genuflettono. Quindi mentre il vescovo resta
in ginocchio davanti all’altare, il diacono porta con riverenza il sacramento alla
cappella della riposizione.
Frattanto il popolo, secondo l’opportunità, proclama qualche acclamazione.
Infine ci si reca processionalmente verso il secretarium nel modo consueto.



 Auguro a tutti i miei cari lettori una santa solennità del Corpus Domini !